Il poschiavino, che ha portato a termine la corsa spagnola nonostante un virus gastrointestinale, ripercorre la strana stagione 2020 e guarda al futuro
Domenica 8 novembre ha tagliato il traguardo di Madrid, dopo diciotto giorni di corsa, in 110.ma posizione, a 3h49’49” dal vincitore Primoz Roglic. Per Matteo Badilatti, quella è stata la prima esperienza con una delle tre maggiori corse a tappe del panorama ciclistico. Il fatto di essere arrivato nella capitale spagnola parla a favore del 28.enne poschiavino, perché portare a termine un grande giro non è mai impresa scontata. Soprattutto se le condizioni fisiche non sono delle migliori… «La convocazione da parte della Israel Stat-Up Nation è arrivata un po’ all’ultimo momento, ma ho comunque cercato di fare del mio meglio. La prima settimana l’ho corsa in appoggio al nostro leader Dan Martin e sono andato discretamente. Purtroppo, all’inizio della seconda settimana mi sono beccato un virus gastrointestinale con l’aggiunta di febbre. Nella sfortuna ho pure avuto un pizzico di buona sorte: nel giorno in cui sono stato peggio – e dopo una nottata tutt’altro che tranquilla – il programma prevedeva una tappa di pianura, per cui, pur a digiuno, mi sono potuto salvare. Lo strascico, però, me lo sono portato fino a Madrid, perché se per due giorni non ti alimenti e corri con la febbre, non riesci a recuperare le energie e la debilitazione è dietro l’angolo. Soltanto negli ultimi giorni di corsa, prima di arrivare a Madrid, sentivo che le forze stavano pian piano tornando, ma purtroppo era tardi. Ad ogni modo, nelle condizioni in cui mi sono ritrovato, posso essere soddisfatto di aver portato a termine la Vuelta. Si è trattato di un’esperienza che potrà tornare utile nei prossimi anni, perché ho imparato molto su quelli che soni i limiti del mio corpo. Il mio compagno di squadra, il francese Alexis Renard, colpito dallo stesso virus, il giorno dopo si è dovuto ritirare».
In terra iberica, Matteo Badilatti ha avuto il suo battesimo sulle tre settimane… «La Vuelta è una corsa che mi è piaciuta immensamente. Siamo andati forti fin dalla prima tappa e, grazie a Dio, l’unico giorno affrontato a un ritmo più blando è stato proprio quello nel quale stavo messo peggio a causa del virus. Tra l’altro, abbiamo avuto una fortuna sfacciata con le condizioni meteo, perché la corsa era stata disegnata tutta al Nord, tra Paesi baschi e Cantabria, posti nei quali di solito piove a catinelle: noi, invece, ci siamo potuti godere un sacco di sole. Splendido anche il percorso, nonostante nei giorni in cui non stavo bene mi venisse da piangere al solo guardare l’altimetria delle tappe. Ma l’aspetto che mi ha davvero sorpreso è l’altissimo standard dell’organizzazione: ho trovato un eccezionale livello di sicurezza e una qualità delle strade ineccepibile. Noi corridori ci siamo sentiti sicuri e protetti, privilegiati per il fatto di poter disputare – nel bel mezzo di una pandemia mondiale – una competizione come la Vuelta. Anche dal profilo sanitario non abbiamo avuto problemi: partenze e arrivi erano predisposti all’esterno delle città, per cui non vi era praticamente pubblico. La bolla era molto rigida e ha funzionato benissimo. Certo, quando transitavamo dai centri abitati, era difficile tenere gli spettatori in casa, ma tutti indossavano la mascherina, mentre le salite erano state tutte chiuse al pubblico. Gli organizzatori meritano una grande applauso per il lavoro svolto».
Rientrato dalla Vuelta, Badilatti si è concesso qualche settimana di riposo. Il momento ideale per ripercorrere la stagione appena chiusa… «È stato un anno molto particolare per la pandemia che ha stravolto il pianeta. Io avevo iniziato bene con la Vuelta a Colombia, gara particolare per noi europei a causa dell’altitudine. Due giorni dopo la fine della gara sudamericana ero già al via del Giro d’Antalya, senza la possibilità di recuperare fatica e fuso orario. Al Sibiu Tour in Romania ho chiuso al terzo posto della generale, mentre in Ungheria ho terminato al quarto posto e al Lombardia al 23.mo. Nel complesso è stata una stagione molto corta, ma molto intensa e impegnativa. In totale ho disputato 41 giorni di corsa contro i 76 dell’anno precedente, ma siccome sono stati quasi tutti racchiusi in cinque mesi, si tratta di un numero abbastanza elevato (chi ha corso di più non è andato oltre i 60-70 giorni).
E nel 2021 si riparte. Con una situazione sanitaria che si spera possa essere migliore, ma soprattutto con una nuova maglia. Matteo Badilatti, infatti, ha lasciato la Israel e si è accasato per i prossimi due anni con la Groupama - Fdj, andando così a raggiungere gli altri elvetici Stefan Küng, Sébastien Reichenbach e Fabian Lienhard... «Il progetto propostomi rispecchia ciò che io stavo cercando. Sono molto soddisfatto della scelta, anche perché avrò al mio fianco alcuni corridori e amici svizzeri. L’ambiente della squadra francese è più europeo e meno internazionale rispetto a quello della Israel. La Groupama stava cercando uno scalatore con il mio profilo: penso che potrò imparare molto da questa esperienza, mentre la squadra avrà la possibilità di approfittare di quelle che ritiene essere le mie qualità. Suppongo che il mio ruolo sarà quello di appoggio sulle salite per i leader che di corsa in corsa si susseguiranno. Per il momento, il calendario non è ancora stato allestito, anche perché siamo nel pieno della pandemia, diverse corse sono già state cancellate (una su tutte, il Tour Down Under, ndr), non si sa dove si potrà iniziare a gareggiare e se il Covid imporrà ulteriori stravolgimenti. Penso ne sapremo di più a dicembre: è previsto un campo d’allenamento, ma per ora non si sa né quando, né dove, perché viaggiare è sempre complicato e molti alberghi sono chiusi. Nel momento in cui terminano due anni di rapporto professionale, vorrei ringraziare la Israel per essersi sempre comportata molto bene nei miei confronti. Ad esempio, nonostante sapesse che avrei cambiato squadra, ha comunque deciso di farmi disputare la Vuelta, un’esperienza importante per il mio futuro professionale. Con loro mi sono trovato benissimo e non posso che ringraziarli per il sostegno offertomi».