‘Les jeux sont faits’ per l'atleta della Vigor, che rivive tutte le emozioni della sua carriera alla quale ha appena posto fine
Trentacinque titoli nazionali, oltre cinquantacinque medaglie a Campionati nazionali, due record svizzeri assoluti, ventisei partecipazioni a manifestazioni internazionali con la Nazionale svizzera. Numeri da capogiro per l’atleta cresciuta nella Vigor di Ligornetto e di certo la più rappresentativa di tutti i tempi in Ticino, che dopo ventisei anni di carriera ha deciso di compiere un ultimo balzo, quello che l’ha proiettata in una nuova realtà, priva di allenamenti regolari, ma ricca di impegni lavorativi e familiari.
Sono passati ormai quasi due mesi dai Campionati svizzeri assoluti di Basilea (andati in scena l'11 e 12 settembre), palcoscenico delle gare che hanno sancito definitivamente la fine della carriera di un’atleta stellare, ma le emozioni di Irene Pusterla e del suo storico allenatore, Andrea Salvadè, sono ancora vive.
Com’è stato affrontare la tua ultima due-giorni di gare in occasione dei Campionati svizzeri a Basilea? «Come mi aspettavo, non è stato semplice. Avrei gareggiato il venerdì nel concorso del salto triplo, e l’indomani nel salto in lungo; già nella mattinata di venerdì ho cominciato a piangere, e questo è continuato praticamente per tutto il weekend. Sono riuscita a salire sul podio in entrambe le discipline chiudendo la mia ultima stagione con un oro e il titolo nazionale indoor a febbraio, la medaglia d’argento nel salto triplo e quella di bronzo nel salto in lungo outdoor a Basilea. Queste lacrime testimoniano la fine di un percorso vissuto con infinita passione, ma che non sanciscono un vero finale, perché penso che essere atleti sia un vero e proprio stile di vita che mi accompagnerà per sempre».
Tra gli spalti di quel sabato settembrino erano presenti anche gli allenatori di Irene, Andrea Salvadè, da sempre al suo fianco, e Giuseppe Balsamo, a supporto negli ultimi due anni. «Fin dai primi passi insieme e dai primi test funzionali che ho eseguito quando Irene era ancora una ragazzina ho intravisto in lei un enorme potenziale e delle qualità straordinarie, soprattutto in termini di capacità contrattili neuromuscolari, molto legate ai parametri di forza esplosiva ed esplosivo elastica – sottolinea Salvadé –. Negli anni abbiamo definito una linea chiara e un progetto pluriennale da portare avanti nel tempo, in un rapporto di reciproco rispetto e basato su un’inestimabile fiducia reciproca che non è mai venuto a mancare. Siamo sempre stati in massima simbiosi, nel bello e nel brutto. Preso dalla necessità di disporre di dati da analizzare, non ho mai guardato dal vivo un salto di Irene, ma sempre attraverso l’obiettivo della videocamera. Solo nella sua ultima competizione a Basilea ho rinunciato alla ripresa video e ho apprezzato l’ultimo stupendo salto – tecnicamente perfetto, da manuale – di una carriera eccezionale della mia cavalletta, che ci ha portati da Ligornetto fino ai Giochi olimpici di Londra nel 2012 e a una miriade di competizioni internazionali».
«In questi ultimi due anni ho potuto contare, in accordo con Andrea, anche sul supporto dell’allenatore italiano Giuseppe Balsamo, un’altra persona di estrema competenza e umanità che ha affiancato me e il mio coach storico in un periodo non semplice – aggiunge Irene Pusterla –. Giuseppe è un amico vero che Andrea conosceva da molti anni, una persona di cui potevamo fidarci, che ha portato nuovi spunti e con il quale abbiamo svolto un eccellente lavoro di squadra».
Irene, quali sono i ricordi più belli che conservi della tua carriera? «I ricordi davvero indelebili sono due: il podio alla Weltklasse di Zurigo nel 2010 e l’ottenimento del limite per i Giochi olimpici. Il meeting di Diamond League, uno dei più prestigiosi del circuito mondiale, rappresentava un simbolo nella nostra famiglia poiché nel 1970, all’età di 16 anni, mio padre aveva vinto la gara dei 100 m proprio in quella stessa manifestazione. Riuscire a salire sul terzo gradino del podio esattamente 40 anni dopo è stata un’emozione che non ha eguali. Allo stesso modo, la conferma del limite olimpico è stata la concretizzazione di un sogno che mi ha portato allo stadio di Londra nel 2012 per le Olimpiadi, ed è stato ancora più speciale poiché è giunto dopo un periodo di difficoltà dovuto a un infortunio. Questo senza nulla togliere alle emozioni dei record svizzeri di salto in lungo e di salto triplo, in particolare la misura di 6,76 m del 2010 a Lugano che mi è valso il limite per i Campionati europei assoluti di Helsinki».
Nella tua carriera hai dovuto affrontare anche momenti più difficili. Qual è stato il più complicato da superare? «Purtroppo ricordo con amarezza l’Europeo 2014 di Zurigo. È una di quelle occasioni che si presenta una volta nella vita e io l’ho vista sfumare senza neppur poter partecipare alla finale, rimanendo la prima esclusa a causa di un terzo salto nullo di un’inezia, solamente sette millimetri. Con Andrea ci eravamo preparati come non mai, e sapevo di stare benissimo. Le aspettative per quella gara erano altissime, ma è bastato davvero un niente per far crollare il castello e i nostri sogni di medaglia. È stato in assoluto il momento più difficile da superare considerando anche le diverse pressioni esterne, soprattutto da parte dei media, sopraggiunte dopo la gara e tese a smontare il nostro grande progetto, ma smentite qualche giorno più tardi al Weltklasse, dove ho saputo superare tutte le finaliste dell’Europeo tranne la campionessa».
Quanto sono stati importanti tuo marito Lucio e la tua famiglia in questi anni? «Lucio è al mio fianco da ormai 13 anni e ricordo che la prima gara a cui ha assistito è stato un Campionato ticinese di salto triplo in cui arrivai seconda. Per me non era stato assolutamente un buon risultato, ma lui, non conoscendomi ancora a fondo, era venuto a complimentarsi con me: da lì in poi ha capito che avrebbe avuto a che fare con una ragazza che non si accontentava facilmente. Non ha mai smesso di sostenermi e ha dimostrato di avere anche una grande pazienza, nonché una grande intraprendenza, tanto da mantenere la promessa di arrivare fino a Londra in bicicletta quando avrei preso parte alle Olimpiadi. Allo stesso modo la mia famiglia è stata fondamentale in tutto il percorso: non hanno mai smesso di credere in me e mi hanno sostenuto in tutto il mio percorso formativo, accogliendo anche la decisione di suddividere il percorso universitario di psicologia in dieci anni rispetto ai cinque tradizionali».
Durante la tua carriera, di frequente ti sei dovuta allenare senza mai poter contare su un gruppo d’allenamento. Quanto è risultato impegnativo per te? «È stato sicuramente più semplice quando andava tutto bene, ma nei momenti di maggior difficoltà tutto diventava più complicato. Negli ultimi mesi mi recavo un paio di volte a settimana a Varese e vedere semplicemente altre persone in pista mi alleggeriva dal carico di lavoro. Ricordo con molto piacere i due anni in cui si è allenata con noi Giovanna Demo, saltatrice in alto, allenata per due anni da Andrea e che ha chiuso la sua carriera nel 2016. Potevamo svolgere molti allenamenti insieme e abbiamo potuto approfittare molto una dell’altra».
In pedana hai trovato molte rivali, ma hai costruito anche delle solide amicizie. Qual è stata la più significativa? «In pedana ho avuto la fortuna di trovare un’amica come la pluricampionessa italiana Tania Vicenzino con la quale c’è stata fin da ragazze una forte empatia e con la quale ho condiviso i momenti più belli così come i più complicati, facendoci sempre forza insieme e riuscendo a risalire anche dai momenti più duri».
Chi è Irene Pusterla oggi? «Oggi sono una psicologa assistente e mi dedico al 100 per cento al mio lavoro e alla mia famiglia. Sono una sportiva realizzata, che ha concretizzato il sogno di partecipare ai Giochi olimpici, ma che oggi apprezza le gite in mountain bike, le passeggiate con il cane Lucky e che si concede qualche sgarro alimentare in più. A fine giornata arrivo sicuramente stanca mentalmente, ma la stanchezza fisica non è certo quella che mi ha accompagnato negli ultimi ventisei anni».
Infine, a chi vorresti rivolgere un ringraziamento? «Un sentito ringraziamento va a mio marito Lucio, a tutta la mia famiglia, al mio allenatore storico Andrea Salvadè e a Giuseppe Balsamo, alla società Vigor Ligornetto in cui sono cresciuta, alla banca Raiffeisen del Monte San Giorgio, al commissario tecnico di Swiss Athletics Peter Haas per aver sempre sostenuto il mio progetto, al Comune di Ligornetto e alla città di Mendrisio, al direttore del Centro Sportivo di Tenero Bixio Caprara, a Marco Jermini, Marco Pagani, Simone Artoni e tutto lo staff di fisio Summit e tutti gli altri fisioterapisti che mi hanno seguita in questo percorso, alla Fidal che ci ha sempre appoggiati, alla Ftal, ai numerosi sponsor che mi hanno sostenuta e a tutti coloro che hanno tifato per me e durante tutta la mia carriera».