Tecnologia

La produttività passa dal benessere di chi lavora

La felicità (o la soddisfazione) sul posto di lavoro è sempre più una chiave per migliorare le prestazioni individuali. Uno studio la misura

Sono molte le imprese che promuovono un ambiente meno formale in cui lavorare, soprattutto nell’IT
(keystone)

Produttività, ossia il rapporto tra i prodotti o i servizi realizzati da un’azienda e le risorse utilizzate per realizzarli, e benessere dei lavoratori sono due termini che nell’immaginario collettivo non vanno d’accordo (tutti ricorderanno la scena in “Tempi moderni” in cui l’operaio Charlot viene letteralmente “ingoiato” dagli ingranaggi di una catena di montaggio). Forse, tuttavia, questa percezione sta cambiando. Numerosi studi dimostrano infatti che gli impiegati felici, o che si ritengono tali, migliorano le loro performance in modo significativo.

Il problema tuttavia non è tanto, o solo, misurare la soddisfazione dei dipendenti, quanto piuttosto porre rimedio il più rapidamente possibile a stress e insoddisfazione quando iniziano a subentrare. Non è stata una sorpresa scoprire che anche in questo campo, nell’odierno mondo digitalizzato, ci viene in soccorso l’informatica.


Prof.ssa Silvia Santini

Star bene al lavoroa intervalli ‘pomodoro’

Alla Facoltà di scienze informatiche dell’USI, come ci ha illustrato la Professoressa Silvia Santini, vi è infatti “un progetto di self-tracking finanziato dal Fondo nazionale svizzero, il quale mira a dare alle persone la possibilità di automonitorarsi con lo scopo di migliorare il proprio benessere, e dunque la propria produttività. C’è infatti un legame tra il benessere, sia fisico sia mentale, e la produttività, ed è un legame che non va solo in una direzione, poiché la produttività è a sua volta un fattore di benessere”. Già, perché nella definizione del benessere lavorativo ci sono fattori oggettivi, come il salario o la salute fisica, ma anche soggettivi, tra cui la sensazione di fare qualcosa che dia un senso di realizzazione personale.

Capire come funziona è relativamente facile: “Posso fare un esempio banale: a chi sta seduto per un tempo prolungato, lo smartwatch invia una notifica che dice che è tempo di fare una pausa e di alzarsi per muoversi un po’. È lo stesso concetto alla base della cosiddetta tecnica del timer pomodoro, un sistema di gestione del tempo secondo il quale si deve suddividere il lavoro in intervalli, tradizionalmente lunghi 25 minuti. Si deve quindi cercare di lavorare concentrati per 20-25 minuti, seguiti da una pausa di pochi minuti, dopodiché si ricomincia a lavorare e ogni 3-4 blocchi si fa una pausa più lunga”. Anche se “questo schema si applica soprattutto agli impieghi del terziario”, ci spiega la Professoressa, meno a quelli con maggiore dispendio di energia fisica, aumentare la produttività non vuol dire sempre lavorare più ore, bensì migliorare il proprio rendimento nelle ore che si hanno a disposizione.

Stress e rendimento oggettivi e misurabili

Nella ricerca, naturalmente, oltre ai sensori di movimento si usano strumenti più complessi, “i dispositivi che usiamo nelle nostre ricerche hanno sensoristica sofisticata e possono monitorare e misurare in modo quasi continuativo i parametri fisiologici di chi li indossa, compresa la cosiddetta attività elettrodermica, ossia la capacità della pelle di condurre elettricità”.

Siamo al confine tra oggettività e soggettività, perché “quando si provano determinati tipi di emozioni o stati emotivi, come lo stress, questi provocano una reazione fisiologica” che può venire misurata. Di conseguenza “possiamo osservare quando lo stress aumenta”, per cui magari la pausa va raccomandata prima, oppure al contrario “evidenziare uno stato che viene definito di flow” (forte concentrazione, ndr), in cui non dovrebbero esserci interruzioni.

In estrema sintesi, la ricerca della Professoressa Santini e dei suoi dottorandi cerca di “monitorare dei parametri sia ambientali sia individuali per capire qual è la situazione del lavoratore e conseguentemente consigliare delle azioni o inibirne altre”. Lo scopo è appunto quello di aumentare il benessere psicofisico e preservare i momenti di produttività elevata.

“Sappiamo anche che esistono diversi cronotipi di persone, ad esempio c’è chi è tendenzialmente più produttivo la mattina e chi nel pomeriggio. Se un sistema informatico conoscesse il nostro cronotipo ci potrebbe suggerire di svolgere determinate attività la mattina e altre al pomeriggio, o viceversa”.

Un passo più in là e si potrebbe arrivare “fino al punto di personalizzare l’orario, nel senso che se si guarda al lavoro come a un’attività indirizzata al risultato, al compimento ottimale di un incarico, più si riesce a finirlo velocemente, più si guadagna tempo per altre attività, come quelle ricreative, o per il sonno e il riposo, per cui si può instaurare un circolo virtuoso”.

Lavorare stanca, riposare aiuta

Lavorare stanca, scrisse un poeta, per cui riposo, sonno e tempo di recupero diventano fattori importantissimi per il benessere fisico e mentale delle persone. Un aspetto che l’équipe della Professoressa Santini non può ignorare. “In effetti, alcuni dei lavori che abbiamo fatto sono sull’importanza del sonno”. Risultato? “La ricerca evidenzia come la mancanza di riposo non fa assolutamente bene né al corpo né alla mente, per cui anche la produttività ne risente”.

Il problema per un’informatica è che “quello che rende un sonno un buon sonno riguarda fattori che non è facile rilevare”; in più “c’è una forte soggettività nella percezione del sonno”, per cui non sempre quello che una persona percepisce al risveglio coincide con i dati rilevati. I ricercatori devono quindi “mediare tra queste due evidenze, in modo da costruire un modello che sia in grado di predire il responso delle persone”. Importante perciò riuscire a “personalizzare i modelli; ci sono sicuramente caratteristiche comuni, ma in questo tipo di sistemi la necessità di specializzare i modelli è cruciale”.

In effetti “i modelli di Intelligenza Artificiale traggono la loro forza dal fatto di avere innumerevoli dati ai quali attingere. Questo, tuttavia, funziona solo in parte nei modelli per il comportamento umano, per cui noi stiamo cercando di capire se vi siano persone con caratteristiche comuni su come la loro percezione si relaziona al dato fisiologico. A quel punto avremo un cluster, un gruppo, e potremo utilizzare quei dati e migliorare la capacità del modello. Andare a creare i cluster e capire come generarli è uno dei temi su cui stiamo lavorando”.

Lavorando, appunto, perché “alcuni modelli funzionano abbastanza bene”, sia pure con un margine di errore, altri meno. Tra gli esempi più affidabili vi è il monitoraggio dell’ansia. Lo stato ansioso ha infatti caratteristiche fisiologiche piuttosto chiare - battito cardiaco, respiro, sudorazione ecc. – per cui è rilevabile con una buona accuratezza. “In situazioni statiche e controllate – precisa però la Professoressa – perché se l’utente si altera può confondere il sensore (banalmente: se si muove suda, ma quel sudore è dovuto alla termoregolazione, non allo stato ansiogeno)”.

Entro certi limiti comunque si possono ottenere dei risultati interessanti. Un altro esempio viene da uno studio di alcuni anni fa condotto proprio dall’USI. “Siamo andati a monitorare il cosiddetto emotional engagement, cioè il coinvolgimento emotivo che hanno gli studenti durante una lezione, che di regola varia (e spesso cala) con il procedere della lezione. Dalla prospettiva del docente sarebbe molto utile sapere quando inizia a scendere in modo significativo, dunque quando è il momento di invertire in qualche modo questa dinamica con una pausa, un’esercitazione, una battuta”.

Aziende interessate perché il salario non è tutto

Difficilmente però oggi un dipendente che si prende parecchie pause sarà visto di buon occhio. Eppure, anche in questo settore qualcosa sta cambiando. “Ci sono aziende – ci spiega la Professoressa – interessate a questo approccio. Alcune, ad esempio, hanno distribuito dispositivi sensoriali ai propri dipendenti e li hanno invitati a utilizzarli per promuovere il benessere fisico”.

Vi era la garanzia che il datore di lavoro non potesse vedere i dati, perché uno degli aspetti più problematici di questi dispositivi è quello della privacy, della riservatezza e l’eventuale utilizzo dei dati raccolti. “Per questo nel nostro progetto l’accento è posto sul self-tracking, un monitoraggio fatto su base volontaria e in maniera autonoma”.

Anche perché sentirsi osservati in continuazione non aumenta la nostra sensazione di benessere. “Assolutamente; noi però possiamo garantire che possiamo proteggere e non condividere i dati raccolti”. Piccola curiosità in merito, “alcuni colleghi di Losanna hanno cercato di capire quale sia la disponibilità delle persone ad accettare questo tipo di strumentazione sulla base di chi gestirà poi i dati”. Sorpresa, è risultato che “la disponibilità ad accettare il monitoraggio è inferiore se i dati sono gestiti dal datore di lavoro rispetto a una ditta terza”. Una cartina di tornasole sulla fiducia che i dipendenti dimostrano oggi verso i loro superiori...

Va anche detto che determinate tecnologie hanno bisogno di tempo per essere accettate. Anche per questo la Professoressa Santini insiste sul fatto che “questi devono essere sistemi orientati all’individuo, che li utilizza perché sa che lo faranno stare meglio ed essere più produttivo”.

Un impulso importante per la loro diffusione potrebbe giungere dalla difficoltà di certi settori nel reclutare e trattenere personale qualificato. Per molti infatti lo stipendio non è l’unico fattore di scelta, ma anche “quanto sto bene nell’azienda, perché se la mattina quando vado al lavoro sto male, la mia disponibilità a cambiare sarà molto più elevata rispetto a chi non sente alcun malessere. Quindi queste tecnologie, unite all’attenzione del datore di lavoro per il benessere fisico e mentale del collaboratore, potrebbero aumentare la possibilità di trattenere il personale e diminuire il turnover”.

“Questa evoluzione è molto importante in alcuni settori, come quello delle IT, tant’è che alcune grandi aziende hanno acquisito delle start-up che stanno lavorando proprio in questo campo”.

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