Tecnologia

Tra spazio e luce, l’architettura nei videogiochi

Con l’avanzare della tecnologia si aprono nuove prospettive, anche professionali, per la progettazione delle scenografie digitali

Lo spazio digitale prende forma in maniera sempre più reale
(depositphotos)

Che ci azzeccano i videogiochi con l’architettura? Apparentemente nulla, essendo i primi prodotti prettamente virtuali, dunque immateriali, e la seconda una scienza da sempre legata alla materia, dunque al mondo reale. Tuttavia ogni universo digitale, in particolare quello ludico, non può non avere un profondo legame con lo spazio da progettare e il suo contesto, per cui parla di architettura: ogni visione infatti deve possedere non solo la scenografia (il Playground), sia pure di un’esperienza di gioco oggi sempre più incredibilmente immersiva e verosimile, ma anche l’ambizione di plasmare l’immaginario, individuale, collettivo o urbano che sia. Di conseguenza questo connubio convergente ha posto e pone interessanti spunti di riflessione per i progettisti, presenti e soprattutto futuri, purché, che si viva normalmente o ci si muova all’interno di mondi digitali, la relazione che intessiamo con l’ambiente che ci circonda e gli oggetti che lo popolano resti qualificante.

L’essenza e la sua evoluzione

“Al centro di tutto c’è e deve restare il modello con la M maiuscola, il gemello digitale”, ci ha spiegato l’architetto Giovanni Balestra, docente di Rappresentazione digitale avanzata presso l’Accademia di architettura dell’USI, perché l’architettura “non crea solo design o apparenze, ma è qualcosa che ci relaziona, tra persone e con lo spazio, per cui è molto ‘umana’”. Quello che cambia nella sua declinazione digitale è dunque solo “la sua rappresentazione e la sua percezione”, non la sua essenza.

Spieghiamoci. Fino a un paio di decenni fa l’architettura lavorava solo su schizzi e disegni; una rappresentazione bidimensionale di un progetto (in gergo l’epoca “flat”), che poteva eventualmente essere portata in 3D da modellini in legno o altri materiali (lo studio di Balestra sia detto per inciso ne è pieno) e da qualche tempo anche dai famosi “rendering”, ossia l’elaborazione di un’immagine in movimento mediante software specifici sempre a partire da un modello.

Tutto inizia a cambiare, perlomeno per Balestra e i suoi allievi, quando un giorno ci si imbatte “in un programma che in tempo reale mostra non solo la spazialità, ma anche la temporalità”, da intendersi non solo come sito determinato e condizioni meteo, ma anche come mondo e variazioni di luce – ora del giorno e addirittura stagioni. “La realtà come è e come potrebbe essere” appunto in ogni luogo, ogni giorno dell’anno e a ogni ora del giorno, in qualsiasi condizione meteo si desideri. Il che significa che, se un tempo un progetto prima lo ideavi e poi lo disegnavi, “oggi ci puoi entrare”. Letteralmente e in tempo reale, visti gli stupefacenti esempi elaborati dagli studenti che Balestra mi ha mostrato. “Siamo in uno spazio, vi entriamo e sentiamo cosa vuol dire essere lì”, esattamente come se per un istante ci vivessimo. Tutto ciò “non per mercificare meglio quanto progettato, ma per affinarlo e andare oltre anche la nostra immaginazione”.


Come guardare dalla finestra

Il solo limite è il cielo

Il rapporto tra lo spazio, l’opera architettonica e l’essere umano assume quindi un’altra dimensione. “È come evolvere entro un altro mondo, in cui posso progettare e dare forma a qualsiasi idea”. Unico limite personale appunto “è l’immaginazione e la fantasia che si possiedono”, che come detto possono comunque essere ampliate e “portate oltre” anche grazie al digitale; unico limite fisico ovviamente lo sviluppo dei programmi e la potenza delle macchine necessarie per farli funzionare. Di conseguenza sono necessari investimenti anche importanti, perché forse in nessun altro settore come il digitale il presente diventa passato remoto in un attimo. Tanto che, data l’evoluzione che ha vissuto e sta tuttora vivendo il mondo digitale, sia in programmazione software che nello sviluppo tecnologico siamo forse vicini a infrangere quella barriera oggi ancora esistente tra reale e digitale per entrare in un mondo ‘altro’ ancora tutto da scoprire e decifrare.

Anche per questo Balestra nei suoi corsi insiste continuamente con gli studenti sui limiti delle nuove tecnologie e sul fatto che per un architetto quello che è davvero importante e deve rimanere tale è “il modello dell’idea e la sua percezione dello spazio contestuale”, oltre che lo studio dei materiali e delle altre tradizionali capacità tecniche. Insomma, indipendentemente da quello che ci riserverà il futuro, per un architetto le fondamenta della professione restano queste.

Resta comunque il fatto che, da un punto di vista più filosofico, gli spazi architettonici reali e quelli della realtà virtuale sono entrambi costruiti dalla mente dell’uomo, per cui i processi per elaborarli sono analoghi. Il digitale serve quindi agli studenti e ai professionisti “per visualizzare meglio e in modo diverso le loro idee, per rendere più condivisibile ciò che è nella loro testa”.

Per questo gli studenti e le studentesse di Balestra non producono solo animazioni di qualità molto elevata, che possono poi essere inserite in contesti più ampi come appunto i videogame (l’anno scorso il tema da sviluppare era “L’isola dei morti” di Böcklin), ma anche oggetti, spazi e scenari che sono dapprima declinati in vari formati, come le cartoline e i francobolli, per poi arrivare al video vero e proprio. “Un piccolo cortometraggio” in cui il modello può essere continuamente aggiornato con nuovi elementi di progettazione, che verranno fatti dialogare all’interno del sistema e quindi visualizzati praticamente in tempo reale.

La ricerca per andare oltre

Dato che l’unico limite è di non averne (“Continuo a incitare i miei studenti a pensare liberamente, senza dogmi, ad abbandonare le costrizioni: sono a scuola, possono perciò portare e sviluppare delle idee forti e fare tutto quello che vogliono, anche distruggere il mondo e ricostruirlo come lo desiderano”), tutto o quasi può essere creato, perlomeno come “simulazione progettuale, tanto in dimensione paesaggistica e territoriale quanto architettonica, per volumi esterni e ambientazione d’interni”. Un approccio “che schiude al futuro architetto un campo di studio con applicazioni di grande potenziale e che stimola la ricerca e la formazione”. E che può aprire anche interessanti possibilità nel mercato del lavoro. “Il mio compito è dar loro gli strumenti e stimolarli a proseguire verso strade ancora inesplorate. L’architetto in fondo è una persona che gioca con i volumi, la luce e i modelli; i modi di assemblarli potenzialmente sono infiniti”.

Questo approccio è inoltre valso a Balestra e all’Università della Svizzera italiana il riconoscimento da parte della società americana Epic Games, uno dei leader mondiali nel settore dei videogiochi e della realtà virtuale e digitale (è lei ad esempio che ha ideato e lanciato Fortnite). Nel giugno 2021 Epic Games ha designato l’Università della Svizzera italiana “Academic Partner”. Una prima in Svizzera, allora una rarità in Europa.

Con questo label la società americana garantisce l’accesso esclusivo alle applicazioni e ai software aziendali e agli abbonamenti e servizi presso vari attori coinvolti e aziende leader nei modelli e nelle texture digitali; inoltre offre la promozione attraverso i suoi canali online, opportunità di co-marketing e di crediti marketplace per progetti, lezioni e ricerca. Tutto questo al fine di fornire agli studenti, alla prossima generazione di architetti/creatori/sviluppatori, gli strumenti necessari affinché siano preparati per lavorare in un mondo in continua evoluzione.

Senza dimenticare, ammonisce Balestra, che “la bellezza, la creazione, la magia della poesia” restano una sfida individuale, dove anche il digitale è impotente.

Nuove possibilità professionali

Negli ultimi anni le novità più apprezzate dai giovani e meno giovani sono state quelle in cui lo scenario, l’ambiente di gioco – dunque l’architettura – prevarica i protagonisti e la storia stessa, si impone e affascina. Che si tratti di seguire le tappe di una narrazione o di muoversi all’interno di un gioco open-world, l’aspetto che oggi tiene attaccati agli schermi sempre più giocatori è il rapporto che si instaura con l’ambiente digitale. L’architettura dunque non fa più solo da ‘quinta teatrale’, ma diventa un “elemento essenziale e ‘giocabile’”.

Di conseguenza sono sempre più numerosi i casi in cui figure professionali rinomate del mondo dell’architettura (urbanisti, architetti, designer di interni ecc.) hanno collaborato con grandi case produttrici di videogame o cinematografiche, poiché tutto quello che viene ideato deve rispondere alle logiche dell’esperienza reale, nonostante le macchine possano volare e i grattacieli non avere una fine. Meglio dunque che a progettare questi spazi non siano dei dilettanti, come in campo architettonico sono appunto gli ingegneri informatici, ma dei professionisti del settore, che perciò ora si vedono ricadere nelle mani quella che potremmo definire la potenza creatrice di un demiurgo, capace di plasmare nuove realtà.

Senza l’ambizione di essere esaustivi in un campo in continua e rapidissima evoluzione, tra le nuove possibilità professionali segnaliamo i Level designer, ossia coloro che progettano i livelli di gioco e appunto le loro ambientazioni e gli scenari, i Visualizzatori 3D per città, edifici ma anche semplici oggetti, e gli Spatial/Layout designer, ovvero lo studio della specifica disposizione degli spazi e della loro funzionalità.

Oltre a queste nuove competenze, restano tuttavia fondamentali anche altre qualità che architetti e architetti in divenire dovrebbero possedere: la creatività e la propensione verso l’innovazione, ossia la capacità di pensare fuori dagli schemi e trovare soluzioni non ancora inventate. Solo in questo modo si crea un ponte tra generazioni. Una svolta insomma che una scuola al passo coi tempi non può mancare.

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