TECNOLOGIA

Le tecnologie del cervello sociale

Quando condividiamo una foto e mettiamo un like a un video, il mondo digitale contemporaneo incontra i meccanismi della nostra mente

Uno scambio che influisce sulla nostra autoregolazione emotiva
(depositphotos)

Da una parte prodotti come smartphone, app, social network. Dall’altra il nostro cervello, evolutosi nel corso di centinaia di migliaia di anni, in contesti molto diversi da quelli attuali. Ogni volta che inviamo un messaggio, pubblichiamo un video o mettiamo il like a una foto è come se avvenisse l’incontro tra due tecnologie molto diverse, una nella nostra mano e l’altra nella nostra testa. Ed è essenziale conoscerle bene entrambe, per essere cittadini consapevoli della società digitale in cui viviamo e trascorriamo una parte importante del nostro tempo.

I due aspetti vanno del resto a braccetto: gli algoritmi di YouTube e TikTok sono infatti legati ai meccanismi del nostro cervello. Ad accompagnarci in questa esplorazione, la neuroscienziata e psicologa Rosalba Morese, docente della Facoltà di scienze biomediche dell’Università della Svizzera italiana e docente della Facoltà di comunicazione, cultura e società per il corso di Psicologia sociale.

Rosalba Morese, in che misura la psicologia ci può aiutare nel nostro rapporto con le tecnologie digitali?

La psicologia è una disciplina sia teorica sia applicata, è la scienza che con l’utilizzo del metodo scientifico studia i processi emotivi, cognitivi, sociali e comportamentali. Ci aiuta a comprendere perché mettiamo in atto determinati comportamenti, spiegando soprattutto i processi sottostanti.

La psicologia ci aiuta a capire quali strumenti possiede la nostra mente e come possiamo migliorarli, come rendere più efficaci processi e dinamiche attivi quando stiamo con gli altri, quando interagiamo con l’ambiente – inclusi, ovviamente, i dispositivi digitali che sempre più spesso mediano il nostro rapporto con il mondo.

Di che tipo di processi parliamo?

Sia processi cognitivi, che hanno a che fare col ragionamento, sia emotivi che riguardano le nostre emozioni e in particolare anche i meccanismi di autoregolazione che ci aiutano ad esempio quando proviamo emozioni molto negative e quindi ci sentiamo tristi. Pensiero, emozione e comportamento sono tre livelli integrati e l’emozione ha spesso un ruolo importante, perché può modulare la nostra motivazione e spingerci all’azione.

Questi aspetti sono oggi oggetto di studio delle neuroscienze sociali, un nuovo ambito di ricerca che mette insieme le conoscenze delle neuroscienze classiche con la psicologia sociale. In pratica le neuroscienze sociali ci dicono cosa accade nel nostro cervello in contesti sociali. In questi casi si parla di "cervello sociale", cioè di quella parte del cervello che viene reclutata quando entriamo in relazione con gli altri e che ci permette anche di gestire situazioni sociali difficili.


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Siamo animali sociali

Quali sono questi meccanismi che si attivano quando utilizziamo dei social media – e che immaginiamo le aziende sfruttino?

Il primo che mi viene in mente è il rinforzo intermittente. È un concetto nato dal comportamentismo, una corrente della psicologia nata nei primi del Novecento che studia il comportamento osservabile dell’essere umano ancorato a un modello di stimolo-risposta: se io presento uno stimolo e poi faccio seguire un rinforzo – che può essere positivo o negativo, diciamo una ricompensa o una punizione – posso condizionare il soggetto a cercare nuovamente o evitare quello stimolo. Si parla in questo caso di condizionamento ed è un meccanismo molto potente di apprendimento. Questo effetto è particolarmente forte se il rinforzo arriva subito dopo lo stimolo, ma non sempre e solo se presentato in modo occasionale, intermittente: ci deve essere imprevedibilità capace di creare un’aspettativa. Recenti studi suggeriscono che si tratta di un meccanismo che potrebbe essere utilizzato da alcuni social media, con tempi di reazione brevissimi ed esperienze positive che ci spingono a cercare quella ricompensa e il piacere che ne deriva.

Ci son altri meccanismi particolarmente importanti di cui tenere conto?

L’appartenenza di gruppo è un aspetto che ritengo molto importante e sul quale con alcuni colleghi abbiamo svolto delle ricerche. Appartenere a un gruppo è un bisogno fondamentale per gli esseri umani, soprattutto durante l’adolescenza quando il gruppo di coetanei è la realtà dove possono sperimentare sé stessi anche a livello identitario. A livello di cervello sociale, l’appartenenza a un gruppo recluta le aree della ricompensa, insomma ci fa sentire bene. Ovviamente questo se c’è una corrispondenza tra la nostra identità e quella del gruppo a cui apparteniamo; se questa corrispondenza viene meno, se non ci si riconosce nei valori condivisi, allora si tende a uscire dal gruppo o si viene allontanati. I social media tendono a sfruttare questa dimensione dell’appartenenza: lo vediamo anche solo dal punto di vista terminologico, con gli "amici", i "gruppi", le "community". Si tratta di un effetto molto forte e che può portare, ad esempio quando un adolescente si sente escluso dal gruppo, a un disagio molto intenso.

Questi meccanismi vengono sfruttati sia in positivo sia in negativo.

Quello che potrebbe interessare maggiormente alle aziende è che l’utente si identifichi nel servizio, perché più esso fa parte di te più è facile che lo utilizzi. Poi, come spesso capita, la dinamica del gruppo di appartenenza attiva anche le dinamiche tipiche dei gruppi come quella dell’esclusione sociale, un aspetto al quale le aziende potrebbero prestare maggiore attenzione. Allo stesso tempo in senso positivo, le tecnologie ci permettono di sentirci connessi con i nostri gruppi sociali di riferimento come ad esempio è accaduto durante la pandemia. Le tecnologie possono rappresentare uno strumento, sta a noi capire come utilizzarlo in senso positivo o negativo.

Abbiamo detto che questi fenomeni sono particolarmente intensi durante l’adolescenza. Perché?

Sappiamo che l’area del cervello che si occupa, tra le altre cose, del processo di regolazione delle emozioni, giunge a maturazione intorno ai vent’anni. La gestione delle emozioni è quindi più complessa, durante l’adolescenza, non per mancanza di volontà o di determinazione ma perché ci si trova in una fase della vita in cui questi processi si stanno ancora modulando e devono ancora maturare.

C’è un effetto a lungo termine, sulla capacità di autoregolazione emotiva?

È una domanda molto importante. Tuttavia una risposta definitiva potrà arrivare solo da studi che seguiranno lo sviluppo di chi adesso è giovane e che, con i social media, interagisce con i dispositivi in maniera diversa dalle generazioni precedenti. Tra un po’ di anni ci saranno più evidenze rispetto a oggi.

Ma alcune cose le sappiamo, su come il nostro cervello sociale gestisce le emozioni in un contesto nuovo come quello della comunicazione digitale. Una cosa interessante che abbiamo visto riguarda ad esempio le persone che vivono una situazione di esclusione sociale. In questa tipologia di situazione sociale il nostro cervello non si sente meglio dopo la lettura di messaggi di supporto come quelli presenti in una chat. Questo può aiutarci a capire come comportarci: se una persona si sente male ed è molto triste, dobbiamo sapere se un messaggio scritto di supporto sia efficace oppure se sia meglio, ad esempio, utilizzare e trovare nuove modalità attraverso le tecnologie per il benessere individuale e sociale delle persone.


Usi
Rosalba Morese, docente Usi di psicologia sociale

Una rubrica a cura di