salute mentale

Il paguro e la bambina: una storia di mutismo selettivo

Tante storie, ma tutte con un filo senza voce che accomuna molti bambini affetti da questo disturbo che blocca il linguaggio

Pronto ad entrare nel guscio
(depositphotos)

Vi è mai capitato, camminando vicino al mare, di incontrare per caso un paguro che si muove sul bagnasciuga con la sua conchiglia appresso? Se non è successo sono sicuro possiate fantasticare su come possa essere, magari prendendo ispirazione da un documentario o, meglio ancora, provando a immaginarlo attraverso il racconto di un bambino che l’ha vissuto. Cosa? L’incontro con il piccolo crostaceo. E come è stato? Beh, vediamolo dal punto di vista del paguro intento a scavare nella sabbia.

La paura del paguro

L’unica presenza nei paraggi che tiene sotto controllo è una bambina a lui non troppo vicina, distante dal gruppetto degli altri bambini che giocano rumorosamente poco più in là. La bambina è piccola e silenziosa. Immobile osserva curiosa l’affaccendato paguro. I suoi genitori non sanno il perché la loro bambina abbia smesso di parlare quando si trova in presenza di altre persone. Forse pensano sia solo timida. Ma torniamo alla storia. Succede che un bambino si stacchi dal gruppo: è il fratello della bambina, che realizza cosa la sorella era intenta a scrutare sulla sabbia in maniera così attenta. Ecco, così, che di colpo la quiete viene rotta da una serie di rumori, grida e forse qualche risata. Il paguro sente che qualcuno si avvicina velocemente: il bambino gli appare come un gigante spaventoso che allunga la sua mano nel tentativo di acciuffarlo. Nel frattempo in cui si sta compiendo quella manovra, il paguro ha già preso a correre per cercare salvezza nel mare. Prova paura, per questo scappa.

La sua reazione di fuga non riesce, però, a evitargli l’incontro ravvicinato con il gigante, che ora l’ha in mano. Avvicina il volto e il paguro, ancora più spaventato di prima, si ritrae nel suo guscio. Scomparendo alla vista. Credo che se potessimo guardare attraverso la conchiglia vedremmo un paguro paralizzato, inerme di fronte a un evento per lui inaspettato. Certo non ha scelto come reagire, l’ha fatto e basta, senza pensarci.

La difesa istintiva

Se come psicoterapeuta si allena l’arte del fantasticare, direi che il breve racconto che avete letto sorge, forse, dal processo che si crea nella stanza di terapia quando si incontrano dei bambini che, come il paguro, si sono ritirati nel loro guscio e lì sono rimasti, temporaneamente in silenzio. Ho pensato che una storia potesse essere un modo per far avvicinare a comprendere il perché un bambino sviluppa un disturbo d’ansia conosciuto come mutismo selettivo. Un disturbo che blocca il linguaggio espressivo (sia verbale che non verbale) oltre che la comunicazione interpersonale, impedendo alla parola di uscire nella dimensione sociale del gruppo.

Noi esseri umani, di fronte alla percezione di ciò che viene letto come una minaccia per la nostra o altrui incolumità, reagiamo grazie al fatto che stiamo provando un’emozione specifica: la paura. Se, ad esempio, pensiamo al personaggio di Paura nel film Inside Out, ben comprendiamo quanto il suo ruolo possa essere cruciale nella vita della protagonista bambina. Quando Paura nasce è senza esperienza di vita e per questo può capitare che perda facilmente il controllo di fronte a ciò che percepisce come un pericolo (Paura si agita, balbetta e correndo verso la console delle emozioni preme con forza il tasto dell’emozione da lui controllata attivando così una reazione). Ma siamo sicuri che sia sempre protettiva la risposta che attiviamo?

Il congelamento

Il paguro scappava, attivando una reazione di fuga e lasciando così cadere la possibilità di rispondere, ad esempio, con un altro comportamento, altrettanto tipico, di fronte a ciò che ci minaccia: l’attacco.

Ma se ben ci soffermiamo su cosa accade nel racconto, osserviamo forse un’altra reazione altrettanto presente in natura e che il paguro terrorizzato ci mostra: il congelamento, attivato da un sistema arcaico che è presente anche nel cervello delle persone. Si direbbe che qualcosa di simile avvenga ai bambini, che arrivano a congelare la parola di fronte alla minaccia elevata dall’incontro con la dimensione sociale.

Forse abbiamo tutti riso quando, ne L’era Glaciale 2, i gemelli opossum, fratelli adottivi della mammut Ellie, di fronte alla vista della tigre dai denti a sciabola Diego, stramazzano a terra fingendosi morti. Forse ci sono sembrati ridicoli perché quel tipo di risposta ci sarà apparsa stupida e senza senso, del tutto inutile per contrastare un potenziale pericolo di morte. Eppure dobbiamo farci i conti, perché è proprio la reazione di congelamento la responsabile del silenzio che tocca questi bambini. E ad averci a che fare, oltre alle persone che ne soffrono, ci sono le loro famiglie.

Partono interrogativi quando si vedono i primi segnali: “È solo timida la mia bambina? Come mai è così diverso mio nipote al parco giochi rispetto a come è in casa? Perché ogni volta che andiamo al bar vicino a casa mio figlio si ammutolisce? Perché non saluta il barista che è sempre così gentile con lui?”. Campanelli d’allarme che è meglio non sottovalutare.

Valutare prima di agire

I genitori si sono sorpresi quando la maestra della scuola dell’infanzia ha domandato loro per la prima volta: “Ma vostro figlio parla di solito? Perché qui a scuola tende a isolarsi e quando gli altri bambini si rivolgono a lui si blocca e non parla”. Se è vero che la diagnosi sembrerebbe facile da porre, grazie a chiari criteri clinici di osservazione, ritengo fondamentale che si consulti sempre un professionista, per evitare di inquadrare erroneamente la manifestazione sintomatica del mutismo.

Procedere con una valutazione psicologica è da considerarsi fondamentale, poiché permette di definire la cura più adeguata ed escludere la presenza di eventuali altri disturbi.

Una volta un paziente mi ha raccontato attraverso un’immagine cosa provava quando viveva silenziosamente il mondo fuori dalla propria famiglia: “Era come pedalare con la bicicletta senza riuscire a muoversi”. “Cosa ti fermava?”, domandai. E lui: “Era come avere dei bastoni che bloccavano le ruote, io ci provavo, ma non riuscivo”. Sono stati i pazienti stessi a regalarmi questa e altre immagini che potessero aiutarmi a meglio capire il loro disagio.

E se queste conoscenze mi sostengono nelle consultazioni con i genitori, dove si provano a sfatare alcune credenze che potrebbero essere nate intorno al sintomo del figlio (e pensate che un tempo il silenzio di questi bambini era considerato dai clinici stessi il frutto di una decisione volontaria del soggetto!), ancor di più risultano preziose quando mi relaziono in psicoterapia con i bambini stessi.

In punta di piedi, un soffio di voce

Con loro è importante mettere da parte ogni aspettativa e incontrarli là dove si trovano in quel momento, senza fare richieste di alcun tipo. Lo sguardo non diretto, la distanza e il contatto corporeo rispettati, il tono della voce non troppo elevato così da rendere l’interazione la meno minacciosa possibile. Come?

Faccio prima a raccontare cosa mi invento per rendere giocoso e leggero il primo incontro con un bambino temporaneamente silenzioso. Avevo incontrato dapprima i genitori di Leo (nome di fantasia di un bambino di 4 anni), mi avevano parlato di lui come grande appassionato di dinosauri. All’entrata della scuola dell’infanzia aveva smesso di parlare con tutte le persone esterne alla propria famiglia.

Lo vidi la settimana successiva, dopo quella prima consultazione. Era in sala d’attesa, in braccio alla mamma, intento a tirarle i capelli in un gioco che credo la mamma non gradisse. Entrai in punta di piedi, a bassa voce e un poco in affanno: “Scusate, non vorrei disturbare ma avrei bisogno del vostro aiuto. Si è perso un piccolo dinosauro, non lo trovo”. Da che era nascosto nelle braccia della mamma, Leo si destò per guardarmi maldestramente cercare in giro. “Ci vorrebbe qualcuno che conosce bene i dinosauri”. Cercai sotto la scarpa del papà, lì non era. Forse era finito sotto il tavolo. “Mi aiutate?”. La mamma iniziò ad adoperarsi divertita. Leo la seguì. Sembravamo una squadra di etologi professionisti. Ed ecco che, proprio Leo, riuscì a trovarlo nascosto tra i rami di una pianta. “Grazie Leo, finalmente qualcuno di utile qui! Adesso mi aiuti a trovare anche gli altri che si sono persi?”. Leo annuì ed entrammo nella stanza a cercarli.

Quella volta e la successiva, in cui Leo fece fare un verso di gioia al T-rex che veniva trovato. “Lo sapevo che era solo in silenzio. Hai sentito Leo? È capace eccome di parlare!”. Mi rispose con un sorriso così vibrante di emozioni, tale da dare la sensazione che da quel momento in poi altri suoni si sarebbero liberati nell’aria, precursori di tutte quelle parole ancora intrappolate che scalpitavano per uscire.

Non si è soli

E la storia del paguro e la bambina come finisce? Uno dei genitori del bambino intravede da lontano la scena e, non resistendo alla curiosità, va a vedere cosa succede. Il figlio osserva da vicino una conchiglia e domanda: “Papà! Perché appena mi sono avvicinato si è nascosto dentro la conchiglia?”.

Il padre capisce che dentro ci deve essere un piccolo paguro rintanato. Il bambino vedendo il padre pensieroso aggiunge: “Non gli ho fatto nulla!”. E il padre: “Lo so, ma credo che il paguro abbia avuto lo stesso paura di te, per questo prima ha provato a scappare e poi si è nascosto, non aveva scelta, non l’ha fatto contro di te”. Il commento del bambino non tarda ad arrivare: “Forse anche mia sorella non parla più con le persone perché qualcosa l’ha spaventata e le ha bloccato la voce in gola”.

Mi piace immaginare che il papà sia stato colpito dall’intuizione del figlio e sia andato a googlare ‘paura che blocca la parola’. Io l’ho fatto e la prima informazione che esce è proprio la definizione di mutismo selettivo. E se un giorno questa o altre storie simili dovessero mai realizzarsi, spero che questo articolo possa contribuire a far sì che si attivino interventi sempre più precoci di cura.

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