Salute mentale

Accanto al piccolo paziente, la comunicazione che aiuta

Sostenere una persona che soffre non è compito facile, specialmente se è un bambino. Si può alleggerire il circolo del dolore semplicemente parlandone

Sciogliere i tabù e dare coraggio, semplicemente, spiegando
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In Svizzera, ogni anno, sono circa 250 i bambini e gli adolescenti fino ai 16 anni ad essere affetti da una malattia tumorale. Si evidenzia tuttavia un dato positivo: la mortalità nei tumori infantili e adolescenziali è in costante diminuzione, soprattutto grazie al progresso delle cure mediche e della ricerca, che ogni anno evolvono notevolmente. Quando un bambino o un ragazzo si ammala di una patologia tumorale ne risente tutto l’entourage famigliare. La vita viene stravolta radicalmente: la diagnosi, le cure e gli spostamenti nei vari centri ospedalieri inducono la famiglia a dover riorganizzare tutta la routine quotidiana. Lo stress, unito al profondo sconforto per la situazione vissuta, possono portare a chiudersi nel silenzio poiché, a livello emotivo, parlare della malattia risulta molto difficile. Persino i fratelli o le sorelle dei pazienti malati possono risentirne, trovandosi spesso confinati a ruoli marginali, dove sovente non vi è tempo per valutare lo stato emotivo.

Con chi parlo?

Le modalità di comunicazione con un bambino malato durante tutto il percorso di cura sono tutt’oggi oggetto di controversia. Le difficoltà maggiori in ambito comunicativo non risiedono tanto nel “cosa dire”, quanto piuttosto nel “come dirlo”. La comunicazione cambia in base all’età del paziente, e, secondo il parere del Dottor Jankovic, è importante essere il più possibile “trasparenti”: “dare ma saper ricevere, ascoltare la persona con cui vogliamo parlare … e i bambini danno molto”. Il fulcro risiede proprio nel saper parlare ai bambini con il loro stesso linguaggio, in modo tale da poter star loro vicini e comprendere ciò che tentano di dirci. Dagli anni 2000, su richiesta dei genitori stessi, tale modello di comunicazione è stato esteso anche a fratelli e sorelle dei bambini degenti. Le esperienze sinora registrate mostrano come tale approccio di dialogo (esteso ad ogni membro della famiglia) sia benefico e riduca drasticamente i tabù e le preoccupazioni generati dalla malattia.


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Meglio fuori che dentro

Prati, rocce e analogie. Parlare per capire

Ricordo quel giorno come fosse ieri. Arrivata a Monza mi invitano a partecipare ad una prima riunione d’équipe. Il Dottor Jankovic entra in riunione e mi chiede di seguirlo. Nel corridoio dell’ospedale mi racconta che ad una bambina di sei anni è stata diagnosticata una forma di leucemia. Lui ha già parlato con i genitori sul percorso di cura i quali, hanno acconsentito che comunichi lui stesso la diagnosi alla figlia. Siamo unicamente lui ed io nella stanza con la bimba. Grazie ad un supporto di immagini rappresentate da cartoni animati e con una grande empatia e delicatezza, il Dottor Jankovic spiega alla bimba cosa sta accadendo, comparando la malattia ad un giardino infestato di erbacce da estirpare. In quel momento, con grande serenità, la bambina capisce l’importanza di dover affrontare le cure per tornare ad aver un bel “prato fiorito” dentro di lei.

Qualche settimana dopo nel Day Hospital, la mamma mi corre incontro e mi dice che la bimba sta soffrendo di uno degli effetti secondari della chemioterapia: una sorta di paralisi temporanea alle gambe. Mi chiede di poterle parlare per comprendere come sta vivendo quel momento. Mi avvicino a lei, sdraiata sul lettino, prendo un libro ed inizio a raccontarle una storia. Ad un tratto mi rivela che ha male alle gambe, tutti le dicono che è “una roccia” e dunque lei non dice niente. Le rispondo: “sai che anche le rocce ogni tanto hanno il diritto di dire che non stanno bene e di esprimere le emozioni che provano?”. Si gira bruscamente dandomi la schiena. Riprendo a leggere la storia e dopo meno di due minuti si rigira verso di me, guardandomi negli occhi, e dice: “Ma io non ho il coraggio di urlare!”. Quell’esternazione così grande, da parte di una bambina così piccola, mi ha portata a riflettere tantissimo.

I non detti che fanno più male della verità

Tutti i bambini che si trovano ad intraprendere un percorso di cure, qualsiasi esso sia, hanno bisogno di poterne parlare, se lo desiderano, sapendo che possono farlo senza rischiare di arrecare dolore a chi sta loro accanto. A volte i bambini si accorgono che i genitori non stanno bene e lo percepiscono attraverso il linguaggio non verbale. Durante lo stage, infatti, è capitato che un bambino avesse chiesto ad un’infermiera perché la sua mamma era diventata così brutta. Questo ci fa capire quanto osservano e capiscono anche se non comunichiamo verbalmente con loro. Il rischio che si instauri un “circolo vizioso” è molto elevato: il genitore ha paura di rivelare al bambino cosa sta succedendo; il mistero attiva nel bambino delle fantasie negative; il genitore traduce tali fantasie in stress; il bambino, pur realizzando che qualcosa non va, si chiude nel silenzio per non arrecare dolore al genitore.

Indipendentemente dalla malattia, poter dialogare con i bambini mettendo delle parole sulle emozioni che proviamo, aiuta a fungere da modello positivo. Quando lavoro in terapia con i genitori consiglio vivamente di provare ad aprirsi e, di norma, ciò che accade è sorprendente. I bambini si sentono liberi di verbalizzare quello che provano, senza vergogna o timore.


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Il libro che parla di malattia e di emozione

Un libro per mettere in immagini le emozioni

Dallo stage intrapreso è pertanto nata l’idea di creare un libro con lo scopo di aiutare i piccoli pazienti e le loro famiglie a comunicare sulle emozioni provate durante tutto il percorso di cura. Un simpatico camaleonte di nome “Mimi” accompagna il lettore nella narrazione della storia di Leon, un bimbo che si trova a dover intraprendere un percorso di cura a seguito di una malattia tumorale. Il libro prende in considerazione le tappe salienti della malattia e può essere utilizzato dal personale di cura o dalle famiglie stesse per capire come il piccolo paziente stia vivendo ogni singolo momento del trattamento. All’interno del libro è presente anche una piccola guida cartacea pensata per aiutare il lettore a porre le domande più adeguate in ogni situazione. Il racconto ha un finale aperto, dove il bambino può, sull’ultima pagina bianca, disegnare il suo personale prosieguo della storia.

Leon è un libro tradotto (nello stesso volume) in quattro lingue ed è distribuito gratuitamente dall’Associazione EmoVere a chiunque ne avesse bisogno (per eventuali richieste trovate le informazioni necessarie sul sito www.psicoterapiamorniroli.ch).

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