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Giornalista non significa passivo postino

Tacitare un conduttore con una sceneggiata, come è avvenuto alla Rsi nel corso di un dibattito politico, è sbagliato, intollerabile e intimidatorio

Fabio Regazzi
(Ti-Press)
31 maggio 2024
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Cosa dovrebbe fare un giornalista, anche del servizio pubblico, prima di condurre un’intervista o un dibattito? Documentarsi; conoscere al meglio il tema in discussione; quindi avere gli strumenti che gli consentano di sollevare interrogativi; se del caso di sollecitare una precisazione; eventualmente contraddire una dichiarazione se chiaramente infondata. Quindi, non contrapporre o cercare di imporre una propria convinzione personale, ma accompagnare la discussione in base alle proprie verificate conoscenze.

L’idea che in questo tipo di operazione informativa i conduttori debbano essere dei passaparola passivi, dei semplici addetti al cronometro dei tempi assegnati, postini neutrali delle affermazioni degli ospiti è fuori dal tempo e dalla logica, profondamente sbagliato, sicuramente estraneo agli interessi del pubblico.

Ecco invece che lunedì sera, nel corso di un dibattito sulle prossime votazioni alla Rsi (‘Democrazia diretta’), il consigliere agli Stati Fabio Regazzi pretende di rovesciare questa semplice regola del confronto pubblico. A fronte di una sua affermazione non approfondita e relativa al fatto che il venticinque per cento dei contribuenti ticinesi è esente da tasse (perché nell’obiettiva impossibilità economica di pagare le imposte), il conduttore del programma interviene opportunamente per sottolineare e quindi sollecitare Regazzi sul fatto che questo dipende anche dai bassi salari in Ticino. Non un’invenzione, non una contestazione, ma un semplice e noto dato di fatto.

Apriti cielo. Forse ispirandosi all’arte venatoria di cui è appassionato e alto esponente, Regazzi “spara” ad alzo zero contro il conduttore, ne copre la voce con la sua foga, lo intima praticamente a non continuare sull’argomento, lo accusa di voler “partecipare al dibattito” invece di limitarsi a “condurlo”, accusandolo implicitamente di volerne influenzare politicamente lo svolgimento. Con una perla finale: “… allora venga lei al mio posto, che io la sostituisco nella conduzione”.

Una sceneggiata. Intollerabile. E anche intimidatoria. Comportamento padronale, come di tutti quei politici che intendono (e tanto desidererebbero) la casa del servizio pubblico come “cosa loro”, recinto in cui fare disfare e dire ciò che più aggrada, pretendendo di non essere disturbati, contrastando quei giornalisti a cui prima e dopo chiedono di essere preparati e rigorosi, di non essere mai abbastanza ‘coraggiosi’ (ma solo nei confronti dei rivali), ma guai se poi si permettono puntualizzazioni da loro ritenute fastidiose. Così come quelli dell’“allora in questi studi non mi vedrete più” (propositi sempre temporanei). O di chi, a poche settimane dalla consultazione ‘No Billag’, si permise di ricordare che il suo partito controllava migliaia di voti, capiti ci siamo?

Certo, il politico, come qualunque altro ospite, ha tutto il diritto di precisare che una domanda è mal posta, se la ritiene tale. Non però di vietare di porla. Spetterà al pubblico decidere se fosse o no opportuna. Non è autodifesa di categoria. Semplici regole del confronto democratico.

Questo articolo è stato pubblicato grazie alla collaborazione con il blog ‘naufraghi.ch