Profitti record per molti super-ricchi nell’anno del Covid-19. Mentre aumentano le disuguaglianze e il numero di poveri, disoccupati e imprese fallite.
«La lotta di classe esiste, e l’abbiamo vinta noi», cioè noi ricchi. Il filantropo americano Warren Buffett, finanziere e terzo uomo più ricco del pianeta (con un patrimonio allora stimato a 72,7 miliardi di dollari), lo affermò alcuni anni fa. Naturalmente non vi furono smentite. E il conflitto di classe evocato da Buffet non si è certo placato. Anzi. Il divario fra lo 0,001 per cento dei super-nababbi e il resto del mondo è ulteriormente cresciuto. Lo si sapeva anche prima del 2020, quindi prima dello tsunami pandemico, che ha provocato macerie anche nelle economie più attrezzate. Cina a parte – che nell’anno appena trascorso registrerà una crescita del 2 per cento – il Pil mondiale calerà complessivamente del 4,4 per cento: la maggiore contrazione dalla seconda guerra mondiale (dati del Center for Economics and Business Research).
Il Covid-19 ha dato ulteriore impulso alla guerra evocata da Buffett, ultra-ottantenne che si permise di “spernacchiare” Donald Trump (“non mi interessano i suoi tagli alle imposte”, cospicui e naturalmente solo a favore dei più ricchi), e che fece parte del drappello di miliardari statunitensi che chiesero di pagare più tasse (comunque consci del fatto che non sarebbe successo). L’anno del coronavirus è stato infatti un periodo di profitti da record per buona parte dei paperoni planetari. Confermando una prima proiezione fatta in estate. Proprietari di grandi piattaforme digitali (abili nell’elusione/evasione fiscale), di giganti della farmaceutica (inclusi ‘cacciatori’ dell’agognato vaccino), ma anche protagonisti di nuove conquiste spaziali, tycoon del lusso, o addirittura della produzione di acque minerali. Le cifre: ‘Forbes’, l’atlante delle grandi fortune, segnala che dallo scorso mese di marzo le dieci persone già primatiste planetarie della ricchezza hanno rimpinguato le loro casse già piene con altri 400 miliardi di dollari; mentre il ‘Bloomberg Index’ calcola che i 500 super-ricchi del pianeta hanno registrato in totale una crescita di 1'800 miliardi durante l’emergenza pandemica. Il più facoltoso di tutti, Jeff Bezos, proprietario di Amazon, che era già ‘il più ricco del reame’, si sarà consolato per il suo costosissimo divorzio grazie a un portafoglio aumentato di 70 miliardi di dollari. È come se il vostro conto in banca di cittadino fosse cresciuto del 66 per cento.
Sull’altro piatto della bilancia, enormemente più vasto e dolente, mettiamoci tutti i perdenti sicuri e gli squilibri provocati o peggiorati dal virus: i nuovi 25 milioni di disoccupati che si aggiungeranno ai 188 milioni registrati nel 2019 (Organizzazione mondiale del lavoro), le piccole imprese sbriciolate sotto l’urto del virus, il debito pubblico mondiale che sale ben oltre i 277 miliardi registrati a fine anno, l’aumento delle disuguaglianze e del disagio dei non garantiti, e secondo la Banca Mondiale 150 milioni di poveri si aggiungeranno ai 700 milioni di chi già vive in ‘miseria estrema’ (con 1 euro e 65 centesimi al giorno).
Arricchirsi non è anti-etico. Non è affatto immorale. E non lo è nemmeno essere paperone. Lo è invece un sistema che, anche nell’indifferenza di beneficiari, e del mondo politico, scava faglie socio-economiche sempre più profonde. Pre-sismiche. Persino quando il mondo è più che in sofferenza.