laR+ IL COMMENTO

Nel ginepraio siriano, la guerra infinita

Un’eventuale sconfitta di Assad e dell’asse sciita (Iran e Hezbollah) non può che saziare gli appetiti dei monarchi sunniti del Golfo

In sintesi:
  • La scintilla del 7 ottobre dello scorso anno ha riacceso in Medio Oriente l’inarrestabile escalation bellica
  • La veloce avanzata degli insorti riflette anche il parziale disimpegno dell’esercito russo
Paradossi tipici delle intricate ‘proxy war’
(Keystone)
2 dicembre 2024
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Imprevisto, forse. Ma il ritorno della guerra siriana è coerente con l’inarrestabile escalation bellica che la scintilla del 7 ottobre dello scorso anno ha riacceso in Medio Oriente. Da Gaza e Aleppo il filo rosso della destabilizzazione regionale segue la logica delle guerre per procura. La vittoriosa offensiva delle milizie islamiste ad Aleppo fa ripiombare la Siria nella devastante guerra, lunga 12 milioni di profughi, mezzo milione di morti, che stava lì, congelata in una tregua precaria dal 2018 quando, all’indomani della disfatta dello Stato Islamico e dei gruppi jihadisti, le forze governative avevano riconquistato il 60% del territorio, lasciandone un terzo ai curdi nelle aree del nord-est e blindando i ribelli della galassia islamista nell’enclave di Idlib, sotto controllo turco.

La conquista della seconda città siriana e l’altrettanto rapida progressione verso sud, a Hama e Homs da parte delle milizie terroriste (così definite dall’Onu) di Hayat Tahrir al Sham (Hts) costituiscono la reazione degli insorti all’indebolimento del regime di Bashar al-Assad e dei suoi alleati di Hezbollah. I massicci bombardamenti israeliani contro valichi di frontiera, basi militari e arsenali in Siria, hanno consegnato su un piatto d’argento l’opportunità di riscatto ai movimenti jihadisti che operano con l’evidente complicità della Turchia. Hezbollah, milizia sciita, aveva svolto un ruolo determinante nella sconfitta dello Stato Islamico di matrice sunnita (Isis) e dei vari movimenti salafiti che si ispirano all’hanbalismo, la versione più intransigente dell’Islam sunnita a cui fa capo anche l’ Arabia Saudita. Ma il ruolo preponderante nelle decisive battaglie contro l’Isis e le varie milizie estremiste (tra cui Al-Qaeda e Al-Nusra, da una cui costola è nato proprio l’Hts) lo avevano svolto i curdi (con il sostegno statunitense) che si sono così trovati – paradosso tipico delle intricate “proxy war” – alleati de facto del governo siriano, sponsorizzato dall’Iran, Paese quest’ultimo a cui il mondo curdo riserva la più grande ostilità.

La veloce avanzata degli insorti riflette anche il parziale disimpegno dell’esercito russo, mobilitato in Ucraina, che otto anni fa, azzerando con micidiali bombardamenti a tappeto la metà della città di Aleppo, aveva piegato la resistenza islamista e permesso al presidente siriano di rimanere al potere. Cui prodest? L’interrogativo su chi possa trarre vantaggi dai drammatici eventi che sconvolgono di nuovo il ginepraio siriano non è in realtà dei più complessi da sciogliere. I nemici storici di Assad, americani e israeliani, non sono di certo dispiaciuti dallo sbarellamento del regime, Ankara con consumata ambiguità ha pugnalato alla schiena il presidente-dittatore con cui aveva intavolato negoziati, così da colpire i suoi alleati curdi, strettamente connessi con il nemico numero uno di Erdoğan, il Pkk turco.

Un’eventuale sconfitta di Assad e dell’asse sciita (Iran e Hezbollah) non può che saziare gli appetiti dei monarchi sunniti del Golfo. Ecco i potenziali vincitori, apparentemente incuranti dei rischi che il ritorno possibile dell’oscurantismo jihadista può far correre all’intera regione, in primis alla martoriata popolazione siriana, nel cui futuro si staglia nuovamente l’infinita maledizione di atroci privazioni e sofferenze.