Servizio pubblico e media privati stanno affrontando la tempesta del mercato mediatico. Dovrebbero farlo da alleati, ma il dialogo non è scontato
Il mondo dei media è cambiato più negli ultimi vent’anni che nei precedenti cento: così ci ha detto Gilles Marchand, nell’intervista pubblicata a pagina 4. Marchand parlava non solo come chi quella trasformazione l’ha affrontata, per certi versi subita e certamente cercato di prevedere e di governare, prima come direttore della radiotelevisione romanda e poi, dal 2017, come direttore generale della Ssr. Forse perché al suo ultimo giorno – da domani l’incarico, con tutte le sfide che comporta, passerà a Susanne Wille –, ma in diversi momenti dell’intervista emerge, più che il direttore della radiotelevisione svizzera, il sociologo studioso di media, dal quale in molti si aspettano adesso un qualche incarico accademico.
Il panorama mediatico è cambiato radicalmente, con una offerta globale e globalizzata impensabile fino a non pochi anni fa, per l’intrattenimento come per l’informazione e la cultura (e anzi spesso cancellando i confini fra i tre aspetti). Quello che, quando Marchand arrivò alla Rts, era solo un sito che vendeva libri e altri oggetti ha oggi un servizio di video on demand, con tanto di serie tv girata anche in Ticino e che ospiterà, il prossimo 5 novembre, una diretta per seguire le Presidenziali americane – ed è solo una piccola parte di quei grandi cambiamenti che, come consumatori e consumatrici di contenuti, abbiamo anche noi affrontato e subito, cercando di proteggerci da manipolazioni e disinformazione.
E i media tradizionali, in tutto questo? Hanno cercato di adattarsi, affrontando tutti la stessa tempesta anche se forse non proprio sulla stessa barca, visto che c’è chi ha potuto contare sulle entrate del canone e chi a disposizione ha avuto solo abbonamenti, pubblicità e aiuti indiretti. Ma ha ragione, Gilles Marchand, quando afferma che non è attraverso l’indebolimento della Ssr che i media privati possono sperare di risolvere i loro problemi: la posta in gioco non riguarda il servizio pubblico o i media privati, ma l’evoluzione generale dei media e le abitudini del pubblico. Lo ha ricordato, giusto qualche giorno fa, l’annuale rapporto sulla qualità dei media realizzato dal Centro di ricerca sul pubblico e la società dell’Università di Zurigo: il consumo delle offerte della Ssr non influisce negativamente sulla disponibilità a pagare per i media online. Come a dire: non siamo concorrenti, ma complementari e allora comportiamoci come tali. Tuttavia quello stesso rapporto racconta anche di un importante aumento delle persone che fanno a meno delle notizie: hanno quasi raggiunto il 46% della popolazione svizzera. Potremmo presto ritrovarci con quella rassicurante correlazione positiva tra consumo di media privati e di servizio pubblico che riguarda una sparuta minoranza con le stesse chance di sopravvivenza del rinoceronte bianco settentrionale.
In tutto questo, Marchand ribadisce come non si possa toccare l’offerta generalista della Ssr, che include oltre alla cultura e all’informazione anche sport e intrattenimento. E questo perché “il servizio pubblico non può scegliere il suo pubblico”, il che ha un senso finché resta un’offerta lineare (le care vecchie radio e tv col loro palinsesto) anch’essa destinata, prima o poi, a fare la fine del rinoceronte bianco settentrionale. Presto si discuterà della nuova concessione della Ssr e sarà interessante capire quale sarà la posizione di Susanne Wille.