In corso vi è il tentativo di trovare un’intesa che porti a una tregua e a dei negoziati che sanciscano la definitiva soluzione della contesa
Non facciamoci sviare dalle apparenze o dalle minacce, anche atomiche. La tragedia russo-ucraina, che non sarebbe mai dovuta iniziare, potrebbe aver intrapreso ora la via verso il suo epilogo. Almeno così si spera a giudicare dalle notizie sfuggite di contatti segreti tra i due contendenti. In corso vi è il tentativo di trovare un’intesa che porti a una tregua e a dei negoziati che sanciscano la definitiva soluzione della contesa. E che garantiscano una soluzione accettabile anche per le rispettive opinioni pubbliche. Le numerose iniziative diplomatiche, mai interamente pubblicizzate, hanno ognuna di loro delle peculiarità e hanno origine nei più diversi ambienti internazionali, come ad esempio quella brasiliano-sudafricana – Paesi fondatori del Brics, di cui fa parte anche la Russia –; quella indiana (sempre Brics) con il premier Modi a sondare il terreno in luglio a Mosca e in agosto a Kiev; oppure quella degli Stati del Golfo, i quali hanno mediato gli ultimi scambi di militari-prigionieri.
Le condizioni di partenza sono sempre le stesse, come del resto anche i problemi da risolvere. Rispetto a luglio, sul terreno si sono registrate l’incursione delle truppe ucraine nella regione russa di Kursk – la prima invasione di un esercito straniero in Russia dalla fine della Seconda guerra mondiale – e la quanto mai veloce avanzata delle Forze armate di Putin nel Donbass, con il rischio per Kiev di vedere il suo fronte addirittura crollare. Il tutto è avvenuto nel bel mezzo di pesanti bombardamenti dall’una e dall’altra parte. Su tutti: il sistema energetico ucraino è stato quasi distrutto; uno dei principali depositi russi, pieno di missili, è esploso, provocando l’evacuazione di un’intera città.
Vista la sempre maggiore precisione nemica, Mosca ha allontanato la flotta del mar Nero dalla Crimea per non vedersela affondare e ha trasferito anche l’aviazione più a est. Zelensky chiede da mesi il permesso a britannici e americani di usare le armi – da loro fornite – in territorio russo, ma questo permesso non viene per ora concesso, mentre il Parlamento europeo ha dato il suo placet.
Se da una parte si vuole indurre Putin a sedersi al tavolo negoziale (senza porre condizioni), dall’altra si teme che la situazione scappi di mano: ossia scontro diretto tra Russia e Nato. L’escalation di minacce, però, non si ferma. Lo speaker della Duma ha affermato che un Iskander ci mette “solo 3 minuti per arrivare a Strasburgo”; l’ex presidente Medvedev ha ricordato la “dottrina nucleare” russa, che adesso Putin intende modificare; gli americani hanno risposto facendosi sfuggire un’informazione su un test elettronico, realizzato in estate, su un possibile bombardamento atomico della Russia.
In sintesi, la finestra negoziale, apertasi in luglio, si è nel frattempo socchiusa, ma rimane ancora aperta. Putin – il cui Paese è isolato dal punto di vista economico, finanziario, logistico – ha il problema di non perderci la faccia politicamente. Probabilmente aspetta il summit del Brics a Kazan del 22-24 ottobre, in cui la Russia rilancerà la sua immagine di anti-Occidente e guida del “Sud globale”. In quello scenario il capo del Cremlino potrebbe accettare gli inviti dei partner a discutere con Zelensky. In caso contrario, il prossimo inverno sarà durissimo in Russia e in Ucraina.