La ‘retorica di Biden e Harris’ a cui il tycoon si riferisce, ammesso che esista, non è altro che il controcanto della sua
“Ha creduto alla retorica di Biden e Harris e ha agito di conseguenza”, ha detto Donald Trump di Ryan Wesley Routh, l’uomo che domenica 15 settembre si è nascosto con un AK-47 in un cespuglio del suo campo da golf a West Palm Beach per sparargli, ma si è fatto beccare dal Secret Service prima di poterci provare. “La loro retorica sta facendo sì che mi sparino addosso, quando io sono quello che salverà il Paese”. Sigmund Freud diceva che un paranoico non ha mai interamente torto, ma ci vuole molta immaginazione per vedere nel cinquantottenne Routh un braccio armato della politica democratica, o in generale qualcosa di diverso da una variante mediatica del “perdente radicale” di Hans Magnus Enzensberger, il maschio sconfitto e umiliato dalla vita, quindi sedotto dalla morte.
Ex elettore di Trump stesso, foreign fighter molto virtuale per la causa ucraina, estensore di turgidi tweet nei quali tagga il presidente Biden affinché legga i suoi consigli strategici, Routh incarna semmai la versione grottesca dello slacktivism, il ribelle dalle troppe cause, il Wile E. Coyote dell’eversione, il bombarolo a cui non tocca nemmeno la consolazione di veder esplodere un chiosco di giornali. Richard Hofstadter scrisse notoriamente che gli Stati Uniti hanno una storia di violenza, ma non una tradizione, perché alla violenza americana manca un centro ideologico e geografico, perché è compiuta per una grande varietà di ragioni e “spesso, per nessuna ragione razionalmente discernibile”.
In un tweet delle scorse ore che perfino lui ha avuto il buon senso di cancellare quasi subito, Elon Musk si è chiesto perché invece nessuno provi a sparare a Biden o Harris. Come tutte le domande infantili, anche questa può essere presa molto sul serio, e non può avere una risposta conclusiva. Si potrebbe azzardare che Trump, come altre vittime di attentati che lo hanno preceduto quali JFK e Ronald Reagan, è un fenomeno psichico prima che politico, un prisma che favorisce la disintegrazione delle menti fragili che si proiettano nella sua direzione. Ecco un paradosso interessante: lo sforzo di Trump per collegare i suoi avversari alla violenza subita domenica e nel precedente attentato di luglio ricorda lo sforzo dei suoi avversari per collegare Trump alla violenza perpetrata nell’assalto a Capitol Hill del 6 gennaio 2021. Il rapporto della figura di Trump con queste opposte violenze, l’una subita e l’altra perpetrata, risulta allo stesso tempo intuitivo e inafferrabile, primitivo ed estremamente complesso. È come se Trump, in un modo che nemmeno lui sa governare se non come un apprendista stregone, liberasse delle energie della società americana che hanno un innesco politico ma una natura fondamentalmente caotica, distruttiva e anche autodistruttiva. La “retorica di Biden e Harris” a cui Trump si riferisce, ammesso che esista, non è altro che il controcanto della sua, assieme alla quale determina lo stile paranoide che ormai domina la politica e la società americana, che sempre secondo Hofstadter dà ai suoi esponenti “l’occasione di proiettare ed esprimere liberamente aspetti inaccettabili della propria mente”. Per questo l’attentato di Routh, come quello di Thomas Matthew Crooks a luglio, difficilmente avrà un vero impatto sulla corsa alla Casa Bianca: la liberazione degli istinti e l’emancipazione della paranoia non sono incidenti di percorso, ma le promesse più terrificanti o seducenti, a seconda dei punti di vista, che Trump è ancora in grado di proporre. Che saranno chiamati a scegliere su questo, gli americani lo hanno capito tutti e da tempo.