Biden non voleva mollare la Casa Bianca, eppure è solo cedendo il passo a Harris che può entrare davvero nella Storia, non restando ancorato alla poltrona
“Pensate l’impatto che avrebbe avuto l’annuncio da parte di Biden di una candidatura di Kamala Harris: avrebbe dato energia per questi quattro anni e per i quattro a venire. Avrebbe alimentato speranze concrete in chi cerca uguali diritti, uguali possibilità. Fare un passo indietro viene visto, in questo mondo sempre coniugato al maschile, come un gesto che denota debolezza, mai eleganza. E invece…”.
Con queste parole, il 27 marzo 2021, commentavamo su laRegione la prima grande conferenza stampa di Joe Biden. Era stato eletto da nemmeno cinque mesi ed era in carica da poco più di due. In quell’occasione, parlò di armi fuori controllo, di ondata di migranti fuori controllo, di Donald Trump fuori controllo. La situazione, nel frattempo, sembra peggiorata su tutti e tre i fronti. Ed è anche colpa sua.
Keystone
I due insieme alla Casa Bianca
Poi parlò di sé stesso, dicendosi in pieno controllo e convinto di restare alla Casa Bianca fino al 2028: quando nel frattempo avrebbe compiuto 86 anni, cosa che si guardò bene dal menzionare, ma vale la pena ricordare, visto che si è ritenuto fino all’ultimo come i personaggi dei fumetti, che – immutabili e immortali, da Paperino a Tex Willer – guardano noi lettori invecchiare. Il Biden del 2021 si dimostrò incapace di guardarsi da fuori e fare i conti con il tempo che passa e con l’idea che il potere possa essere quel che dovrebbe essere: un mezzo, non un fine. Qualcosa che si esercita il tempo che basta per servire una causa e – nel caso di Biden – un Paese, il più ingombrante di tutti. Per poi farsi da parte.
In “1984”, dove George Orwell ci squaderna l’antitesi di una democrazia, c’è una frase che ribalta il significato, rivelandolo: “Il potere non è un mezzo, è un fine… Il fine del potere è il potere”. Li abbiamo visti, dall’ultimo politicante di provincia a Saddam, tirato letteralmente fuori da una buca: disposti a perdere tutto, anche la faccia e – perché no – la vita pur di non perdere quel che avevano di più caro: il potere. C’era cascato anche Biden, trascinandosi nella buca il partito democratico, che ora non ha più quattro anni, ma solo cinque mesi di tempo per inventarsi qualcosa.
Perfino un Papa aveva saputo dire basta, memore del “Sic transit gloria mundi” che proprio ai pontefici appena eletti veniva ripetuto tre volte, come certe raccomandazioni delle mamme ai figli, come tutte le cose che proprio non ti devi scordare. Biden se l’era scordato.
Keystone
Tra chi non molla le poltrone, c’è da imparare da Ratzinger
Il commento scritto nel 2021 – invecchiato come Biden, come noi – auspicava un passo indietro come gesto che per una volta avrebbe denotato eleganza, non debolezza. Piuttosto forza. Tutta quella che ora manca a Biden, ai democratici, a Kamala Harris, e all’America, talmente pigra da sorbirsi le cialtronerie da disco rotto di Trump. Uno che dalle sue ridicole esagerazioni (dalla capigliatura alle pose, quelle sì, da fumetto) ne ha tratto vantaggio perché è riuscito – seppur con trucchi da baraccone – a intrappolare il tempo che passa, sembrando uguale al sé stesso di dieci, venti, quarant’anni fa.
Tuttavia, con quel passo indietro tardivo e ormai inelegante, se non addirittura goffo – come il passo di uno scoordinato costretto a ballare controvoglia – Biden può nutrire ancora la speranza di barattare la gloria effimera (ma appagante) del qui e ora con quella più dilatata e duratura dei libri di storia, entrandoci – in caso di vittoria di Harris – come l’uomo che si fece da parte per far eleggere la prima presidente donna, per di più nera, della storia americana.
A volte, la gloria cercata ossessivamente sgomitando sotto i riflettori, la si può trovare facendosi, molto semplicemente, da parte.