Più che impazzire a cercare di rendere il Decs meno verticistico e il Dfe più progressista, forse basterebbe un arrocco tra socialisti e liberali. Forse
C’era una volta un collega che diceva: l’oggettività assoluta nel nostro mestiere (e non solo) resta un miraggio. Era uno bravo, mica uno sprovveduto. Talmente bravo che ha fatto carriera, qui e altrove. In ogni articolo una traccia di soggettività ci sarà sempre – ripeteva, convinto –, proprio perché il punto di partenza rimane lo sguardo, su un dato tema, dell’autore del pezzo.
Segni di soggettività emergono eccome dall’interessante tentativo del Partito liberale radicale di ripensare l’intero impianto scolastico “senza impronte ideologiche”. Idee a tratti liberali, a tratti liberiste. Una riduzione della frequenza obbligatoria da 33 a 30 ore settimanali (6 unità didattiche al giorno dal lunedì al venerdì, mercoledì compreso); proposte formative di doposcuola mirate e facoltative; potenziamento dell’orientamento: sono questi, in estrema sintesi, i suggerimenti del Plr di Alessandro Speziali. Una sorta di revisione strutturale della scuola media ticinese che si concentra però soltanto sulla forma, visto che “gran parte dei contenuti e delle impostazioni didattiche non verrebbero cambiate”. Suggerimenti che hanno di sicuro il pregio di aprire una discussione su un tema fondamentale per lo sviluppo del cantone; una discussione che sarà ardua e che non porterà, in tempi brevi, a dei risultati concreti.
Certo che non può lasciare indifferenti il fatto che a predicare a favore di una scuola “che tenga conto dei bisogni odierni delle famiglie” e che possa diventare “un aiuto concreto per affrontare un contesto sociale molto più complesso”, sia il Plrt. Cioè, il partito che da decenni ha in mano il Dipartimento finanze ed economia.
Pochi giorni fa su queste colonne lo stesso Speziali diceva che “non c’è da stupirsi se poi i giovani, una volta fuori dalla scuola, si scontrano con una realtà a cui spesso non sono preparati. E che può risultare traumatica”. Infatti sappiamo che di fronte a una tale realtà – che né Speziali né il suo partito hanno alcuna intenzione di mettere in discussione, anzi che è il frutto delle politiche economiche portate avanti dal Plrt & co – i giovani tendono a fuggire (si veda qui l’approfondimento sulla demografia) o a esprimere un forte disagio. Pensare che un adattamento dell’involucro scolastico possa, in qualche modo, andare a risolvere problematiche molto più profonde appare illusorio.
Speziali e il suo entourage, lanciati in una crociata contro ciò che considerano un inclusivismo estremo portato avanti dal Decs, continuano d’altronde a confondere la differenziazione pedagogica (già molto sviluppata a scuola) con la diversificazione formativa sulla base dei presunti interessi dei ragazzi: un approccio restrittivo che, dal punto vista antropologico, risulta poco consono al momento evolutivo degli allievi di scuola media. E che potrebbe comportare, quale effetto collaterale indesiderato, una precoce e inopportuna selezione tra “migliori” e “peggiori”, sempre a scapito dei più vulnerabili.
Una possibile soluzione a questa complessa equazione è stata accennata pochi giorni fa da quell’irriverente commentatore social nascosto dietro la foto di Kevin Spacey: se vogliamo una scuola flessibile e un’economia inclusiva, più che impazzire a cercare di rendere il Decs meno verticistico e il Dfe più progressista, forse basterebbe un arrocco dipartimentale tra socialisti e liberali. Forse.
Chissà cosa penserà di tutto questo quell’ex collega scettico sull’idea dell’oggettività assoluta? Scoprirlo resta pure un miraggio, ma quella è un’altra storia.