laR+ IL COMMENTO

La mosca sul miele, il prete fra i giovani

Tre date avremmo voluto conoscere fin dalla fase embrionale dell’inchiesta che ha coinvolto il cappellano del Collegio Papio di Ascona

In sintesi:
  • Vi sono interrogativi aperti, che andrebbero subito chiariti, in merito alla segnalazione della vittima e all’iter temporale che ne è seguito
  • Monsignor Lazzeri non ne aveva fatto mistero, indicando la data, in un precedente caso di abusi sessuali
Fra sacro e peccato
(Ti-Press)
10 agosto 2024
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Sono papà, sono zii o nonni, sono dirigenti e allenatori sportivi, insegnanti e amici di famiglia, responsabili di associazioni ed enti legati al sociale, dirigenti di aziende, in rarissimi casi possono essere anche donne. La piaga degli abusi tocca ogni ambito della società, e per questo non tiene al riparo dagli scandali, dalla vergogna e dal clamore neppure la Chiesa.

Per i preti accusati (e poi anche condannati), che si macchiano di reati così ignobili come gli atti sessuali con fanciulli e con persone incapaci di discernimento o inette a resistere, come la coazione sessuale e la pornografia, forse non si può che ammetterlo: il limite di tolleranza è inferiore, la critica è più affilata e la richiesta di ‘scalpi’ maggiormente urlata. Soprattutto se quel muro fra vittima e ‘carnefice’ continua, nello scorrere dei decenni e dei secoli, a mostrare il suo attrito.

Il nuovo caso che porta alla luce – per ora a livello di primissima fase di indagine – comportamenti ‘inadeguati’ di un presbitero e che potrebbero sfociare, a inchiesta conclusa e come successo in passato, in una condanna, ci porta a riflettere non solo sul mero caso in sé, ma su come, ancora oggi, la Chiesa e in questo caso la Diocesi di Lugano continuino a trattare questi fatti con il silenzio. E non ci riferiamo a un inevitabile e necessario comunicato stampa, seppur monco, ma a quei ‘no comment’ su informazioni (pubbliche) che non possono non prescindere dalla chiarezza dell’argomento e dalla trasparenza che esso esige, nei confronti della vittima (o delle vittime) e nei confronti di chi affida loro, in oratori, incontri di gruppo, pellegrinaggi e viaggi di volontariato, i propri figli e le proprie figlie.

Non sono chiare, in particolare, e sta qui il nodo che avremmo voluto veder sciolto fin da questa fase embrionale, in quanto peraltro non inficia per nulla – diversamente da quanto ci vogliono far credere – l’inchiesta in corso, tre precise date: quando l’amministratore apostolico della Diocesi di Lugano, monsignor Alain de Raemy, ha ricevuto la segnalazione (del resto il suo predecessore, monsignor Lazzeri, lo aveva limpidamente indicato nel caso di un altro arresto di un prete, quell’11 marzo 2020, senza per questo intaccare il lavoro degli inquirenti). Quando è stata a sua volta coinvolta la Commissione di esperti in caso di abusi sessuali in ambito ecclesiale. E quando sono stati informati gli organi giudiziari.

Passaggi fondamentali per capire perché il cappellano del Collegio Papio di Ascona, se di un’indagine in corso su un presbitero si parlava già a giugno, sia stato lasciato libero di poter continuare a frequentare quell’ambiente, di giovani, nel quale era considerato una sorta di idolo e punto di riferimento, e nel quale si sarebbe invece lasciato scivolare la mano, o quanto altro. Proprio come la mosca sul miele.

Non sono certo strampalate scuse di ‘esigenze di inchiesta’ a portarci a credere che quelle tre semplici date siano, diversamente, l’errore ulteriore di movimento prima e di comunicazione poi incorso in questa nuova triste e misera vicenda. Conoscere i tempi in cui ci si è mossi, con quale tempestività e con quale attenzione e considerazione verso la vittima, sono un aspetto essenziale per continuare a credere, quando affiorano queste vicende, non solo nella famiglia, nella scuola, nell’ambiente sportivo e ricreativo, ma anche (e soprattutto) nel clero.

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