Ambizioni di principio legittime diventano un retorico strumento divisivo che finisce per escludere dalla convivenza civile chiunque paia non conforme
Nell’ultimo inserto domenicale de ‘Il Sole 24 Ore’, il noto giurista Sabino Cassese firma un articolo dal titolo eloquente: ‘La democrazia? Non sta tanto bene’. Soffermandosi su alcuni spunti forniti da due recenti pubblicazioni dedicate al tema della “crisi della democrazia”, Cassese individua nel suo testo le principali tensioni dentro cui si dibatte oggi l’idea stessa di democrazia, quella per intenderci di matrice occidentale-liberale: tensioni fra diseguaglianze di partenza e aspirazione all’eguaglianza sostanziale; fra eguaglianza civile e diseguaglianza economica; tra universalismo e particolarismo, per fare solo qualche esempio. Insomma, dentro il termine “democrazia” stanno tante e tali aspirazioni, pulsioni, convinzioni che oggi sembrerebbe sia ormai arrivato il momento di dire che la democrazia è vittima di se stessa, che si annulla per eccesso.
Si prenda, come esempio, il fenomeno del “populismo”: nasce e si sviluppa intorno a bisogni senza dubbio reali e concreti, di riconoscimento di “libertà individuali” che la democrazia, per definizione, ha sempre affermato e difeso come “valori”. Possiamo dunque dire che il populismo è un’espressione di democrazia? Vedendo che ambizioni o esigenze di principio legittime diventano un retorico strumento divisivo, che tende alla facile categorizzazione, a istituire gerarchie di priorità e interessi che finiscono ben presto per escludere da un contesto di convivenza civile chiunque paia non “conforme”, non allineato ai “bisogni della gente”, viene da dire di no. Bisogni tra l’altro alimentati ad arte da un ulteriore elemento che caratterizza l’attuale stato della democrazia occidentale: la fideistica convinzione che le “libertà” garantite dall’ordinamento democratico debbano essere anzitutto e sostanzialmente di tipo economico e promettano una crescita illimitata dentro a un mercato “libero” e “globale”. Ed è forse proprio a questo punto, nell’immolare alla logica ultraliberista di questi anni il corpo sociale di democrazie cosiddette “mature”, che si finisce per ravvisare la principale ragione di una crisi che nasce da un individualismo spinto all’eccesso, nel nome di una libertà che non è prodotto di un progetto politico, sociale, culturale condiviso, quanto piuttosto uno strumento che abbina bisogni e aspirazioni personali agli interessi (e ai meccanismi di funzionamento) del grande capitale e della finanza.
Una drammatica contraddizione dei principi della democrazia che nel contesto internazionale ci porta anche a individuare e assecondare come “modelli”, organizzazioni, Stati o governi (ricchi, naturalmente), che di democratico hanno ormai poco più di una “Costituzione”. Così oggi, Stati Uniti e Israele, per esempio, continuano a essere considerati “bastioni di libertà”, anche mentre calpestano, in un modo o nell’altro, quei principi fondativi. Il risultato, come ci dice lo storico Enzo Traverso in un recente saggio (‘Gaza davanti alla storia’, Laterza) è duplice e angosciante: ci induce progressivamente a negare ogni confronto democratico in scia a veri e propri campioni della cancellazione di ogni diritto, e spinge il mondo che si dice civilizzato e democratico a perseguire una sola strada: quella, letale, dell’economia di guerra.
Praticamente un suicidio, cui ci sta conducendo uno stuolo crescente di autocrati, giocatori incalliti sul tavolo del monopoly della geopolitica, “democraticamente eletti” nel tripudio dell’astensionismo o nel terrore della persecuzione verso ogni forma di dissenso.