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Democrazie liberali o democrature?

(Ti-press)

1989, cadeva il muro di Berlino e al contempo iniziava a sgretolarsi la vera volontà del pensiero critico; 1992, Fukuyama pubblicava “Fine della storia e l’ultimo uomo” nel quale sosteneva, grazie all’affermazione definitiva della “democrazia liberale”, la fine della lotta fra “padrone e schiavo” e con essa la conseguente realizzazione definitiva delle aspirazioni umane di libertà e uguaglianza. Effettivamente Fukuyama aveva ragione, ma più che per l’affermazione della democrazia liberale, per l’implosione di uno dei sistemi alternativi e contrapposti, in particolare quello comunista così come conosciuto. A più di 30 anni da quella pubblicazione, forse sarebbe opportuno riflettere su quanto realmente accaduto da quell’istante fino a oggi, e come noi “occidentali, intoccabili e presunti signori del Mondo” avremmo dovuto perlomeno interrogarci se non fosse stato il caso di una piccola aggiunta a completezza di quel titolo: “Fine della storia e l’ultimo uomo; tramonto della democrazia”.

Democrazia, per anni avulsa ad alcune correnti di pensiero liberale, che ritenevano l’esercizio politico riservato a élite specifiche e, oltretutto, assai poco universaliste (un uomo, un voto) come oggi invece vorrebbero farci credere (si pensi solo al voto femminile, in Svizzera riconosciuto solo dal 1971). Unico modello ritenuto praticabile, in quanto vincente, quello delle democrazie liberali, e personalmente aggiungerei sociali (“welfariane”), conosciuto soprattutto durante quel periodo di contrapposizione indotto dalla Guerra fredda e intriso di quella forma “romantica” – se non beffarda – di “Capitalismo dal volto umano”, oggi divenuto chimera se non addirittura bestialità.

Ben presto il tutto si è tramutato nel mondo che conosciamo oggi, dove la democrazia viene semplicemente scambiata per alcune sue prerogative intrinseche, non necessariamente qualificanti: il diritto di voto e della presunta libertà d’espressione. “Democrazie liberiste”, sempre più “deomocrature”, ahimè, anche alle nostre latitudini dove, parafrasando Canfora, corpi intermedi, mercato liberista, miliardari, lobby ecc. hanno il sopravvento sugli eletti a suffragio universale (?), che perlopiù rappresentano una semplice maggioranza di una minoranza non sempre "libera” nella propria espressione. Dove la logica della massimizzazione del profitto e non solo ha il sopravvento su diritti umani internazionali e costituzionali. Dove il mondo delle idee scompare in quello del presumere, del fare (di hitleriana memoria).

Ed ecco che “democrazia” assurge a semplice formalismo, dove la giustizia, le leggi, le istituzioni stesse che dovrebbero garantirla, vengono semplicemente espropriate, manipolate da branchi affamati, avidi di potere per pochi nel presunto nome dei molti e nell’ignoranza indotta dei troppi. Ed ecco che, improvvisamente, anche la libertà d’espressione e di giustizia vengono semplicemente cancellate, come le stesse carte che le vorrebbero ribadire, dal trita-documenti di turno, falò contemporaneo dei tempi che furono. Ed ecco che la punizione collettiva, non solo nei confronti di popoli inermi divenuti martiri loro malgrado, rappresenta una delle dinamiche di un mondo sempre più perso e ipocrita, minando quel resto di fondamenta di un pensiero diversamente o fondamentalmente democratico, libero, laico, umanista.

Oggi chiedere, se non giustizia, almeno l’applicazione uniformata a tutti e a prescindere delle norme del diritto a tutti i livelli, sulla base di quei minimi codici nazionali e internazionali che dovrebbero essere a tutela dalla bestialità dell’umano e ultimo baluardo di speranza per un mondo migliore di quel domani sempre più incerto, diventa quasi una bestemmia.

Purtroppo il rivendicare quei principi cardine nonché fondamentali di libertà, uguaglianza, laicità e giustizia diventa immediatamente fonte del giudizio inverso, come se i morti (bambini, donne, anziani) avessero un peso diverso sulla nostra coscienza, solo perché “popolo eletto” o meno, senza che ci si renda conto che i creatori d’odio non sono i popoli, bensì gli uomini, o almeno alcuni di loro, con tutto quello che ne consegue. E il non poterlo rivendicare equivale a stigmatizzare qualsiasi forma di democrazia a prescindere.