laR+ IL COMMENTO

Un Piano Marshall per la ricostruzione del Ticino

Il lavoro da fare sarà parecchio. Bisognerà cominciare, ovviamente, dall’Alta Vallemaggia. Ma quello non potrà che essere l’inizio

In sintesi:
  • La ricostruzione dovrà comprendere tutto ciò che è stato devastato
  • Sono anni che assistiamo a una devastazione prodotta dalla natura… umana
(Ti-Press)
12 luglio 2024
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È giunta l’ora di iniziare a pianificare la ricostruzione. Una ricostruzione che dovrà comprendere tutto ciò che è stato devastato. Serviranno forze, tante forze: umane e finanziarie, pubbliche e private. Idealmente, una sorta di Piano Marshall per il Ticino.

Alcune voci alzatesi negli ultimi giorni lasciano ben sperare. Il mondo economico, per esempio, si è subito annunciato pronto a scendere in campo: “Questo è il momento in cui l’economia deve dare tutto il suo sostegno”, hanno affermato all’unisono i presidenti di Aiti, Camera di commercio e Usam. “Ogni franco conta e l’economia – ha assicurato Oliviero Pesenti –, che è il cuore pulsante di questo territorio, c’è”. Gli ha fatto eco il consigliere agli Stati Fabio Regazzi: “L’economia ha un ruolo cruciale per garantire benessere al nostro cantone”. Per Andrea Gehri è piuttosto chiaro che “non possiamo rimanere insensibili: anche noi abbiamo sentito il dovere di attivarci per aiutare, sostenere e individuare il modo migliore di farlo”.

Pure la politica si è mobilitata con varie richieste e proposte di fondi cantonali e federali a favore della nostra regione. C’è anche chi – il solito – ha intravisto l’opportunità di riproporre il becero ritornello del “noi contro di loro”, un demagogico appello ad aiutare il Ticino e non “gli altri”.

Fatto sta che il lavoro da fare sarà parecchio. Bisognerà cominciare, ovviamente, dall’Alta Vallemaggia, da ogni angolo colpito dalla catastrofe. Ma quello non potrà che essere solo l’inizio, se si vuol pensare a una vera ricostruzione. In una visione che sposa l’idea della forza della fragilità (idea proposta pochi giorni fa dal collega Davide Martinoni), si potrebbe ambire a individuare nella disgrazia una possibilità – e ciò nel massimo rispetto del dolore di chi è stato direttamente investito dalla furia della natura –. Una possibilità di ripartire su basi più solide ma non soltanto in Bavona e Lavizzara, bensì da Camedo a Lumino e da Airolo a Chiasso.

Sono anni che assistiamo, perlopiù inermi, a una devastazione prodotta dalla natura… umana, da una certa tipologia di umanità che cerca costantemente di accaparrare risorse. Risorse che vengono sottratte a una maggioranza silenziosa, finora incapace di reagire se non fuggendo verso nord, alla ricerca di habitat più idonei in cui mettere radici.

L’emergenza con cui è confrontato il Ticino è di sicuro ambientale, ma soprattutto economica e sociale; emergenza frutto in gran parte delle scellerate politiche di stampo neoliberista che vanno avanti da almeno tre decenni, e dove si coniugano un ossessivo quanto inutile rigorismo sulle spese dello Stato con un promiscuo lassismo fiscale sul fronte delle entrate. Se si aggiunge poi lo sfruttamento eccessivo delle risorse naturali (prerogativa non esclusivamente ticinese) e il totale snaturamento del mercato del lavoro (mercato snaturato in quanto molti residenti che vi entrano a “vendere” la propria forza lavoro non ottengono in cambio i mezzi sufficienti per garantire la propria sussistenza), ecco che il cocktail – devastante – è servito.

“C’è un malessere che aleggia sul Cantone ma che non si cura con i soldi”, va dicendo un navigato politico ticinese, padre di un aberrante decreto e di una statistica piuttosto incapace di offrire spunti validi al contesto in cui si inserisce. Invece la realtà ci sta indicando l’esatto opposto: il Ticino va ripensato, dalle fondamenta.

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