laR+ IL COMMENTO

L’orizzonte che non c’è

La poesia anonima delle ‘quattro mura’ pone un interrogativo terribile quanto inalienabile: stiamo davvero pensando al futuro?

In sintesi:
  • Ai ragazzi si chiede sempre più presto di crescere, maturare, decidere, di assumersi le proprie responsabilità
  • Davanti a questi ragazzi il mondo del lavoro offre un desolante panorama occupazionale
Una nebbia che si estende
13 giugno 2024
|

Non può certo lasciare indifferenti la poesia anonima pubblicata martedì su queste colonne, in coda a un intervento di Tommaso Soldini, a proposito dello studente della Scuola di Commercio che una decina di giorni fa, con la sua finta pistola, ha tenuto nel panico e con il fiato sospeso docenti e allievi dell’istituto bellinzonese. Soldini ne ha parlato da docente che su quell’episodio continua a interrogarsi, a maggior ragione dopo aver ricevuto, appunto, da un ex allievo una poesia che racconta, con parole che inchiodano, tutto il disorientamento di una generazione giovane che di fronte al nulla che ha davanti arriva, sempre più drammaticamente, a pensare di farla finita, al suicidio.

Non si tratta chiaramente di generalizzare, né di ritenere che quelle parole possano valere come giustificazione per il gesto (quasi) estremo e sconsiderato compiuto dal quindicenne che ha minacciato la propria docente, “rea” di annunciargli la bocciatura. Però, quelle parole, nel reiterare l’evocazione delle “quattro mura” dentro cui la scuola oggi consuma la sua missione educativa nella crescente disperazione di giovani senza orientamento che si fanno di psicofarmaci per affrontare la giornata, che si chiudono in casa e non si fanno più vedere, che pensano di porre fine alla propria vita, beh, quelle parole dovrebbero rimbombare non solo nella testa dei docenti che ben conoscono quella desolante realtà, ma anche di ognuno di noi, padri, madri, zii, nonni, comuni cittadini, che quel mondo lo stiamo abbandonando a sé stesso, attribuendogli sempre più compiti e responsabilità (che la famiglia non si assume più, per tante ragioni) e sottraendogli sempre più mezzi perché tanto “i docenti sono tutti dei privilegiati” (che osano addirittura scendere in piazza per salvare le loro pensioni, ma tu pensa che affronto).

Quando l’ex allievo di Soldini scrive in versi di “quelle quattro mura/dove oggi un ragazzo/ha tirato fuori una pistola/per rabbia/che forse era paura/che forse era tristezza/che forse era angoscia/di non avere un futuro” sta affidando a tutta la società attuale e ai suoi (veri o presunti) “valori” un interrogativo terribile quanto inalienabile: stiamo davvero pensando al futuro? Una domanda che ci implica direttamente in quanto cittadini e in quanto elettori e che si appella inevitabilmente al mondo della politica e dell’economia, tutto concentrato sul “qui e ora”, senza alcun progetto che indichi una prospettiva che non sia quella, a cortissima gittata, dell’immediato tornaconto personale. Un mondo competitivo per definizione, dove “il merito” è quello che premia chi pensa a sé e per sé, dove pare progressivamente bandito l’obiettivo di una qualsiasi forma di “bene comune”. Davanti a questi ragazzi il mondo del lavoro offre un desolante panorama occupazionale che potere politico e potere economico (neanche fossero il gatto e la volpe) ammantano di promesse regolarmente disattese.

Quei quattro insegnamenti che in casa o a scuola i giovani si sono visti brandire e sentiti ribadire per anni come regole e principi di condotta morale, trovano nei comportamenti e nelle esternazioni di tanta politica una quotidiana smentita. Ai ragazzi si chiede sempre più presto di crescere, maturare, decidere, di assumersi le proprie responsabilità, quando poi davanti a loro hanno ogni giorno un mondo che di responsabilità non se ne prende manco mezza, che non si mette mai in discussione, che alza la voce, minaccia e bacchetta chi fa una domanda ritenuta impropria, che trova sempre, se proprio deve correre ai ripari, qualcuno a cui dare la colpa (inutile fare esempi fin troppo evidenti), alimentando proprio quella “rabbia”, quella “paura”, quell’“angoscia” che non stanno solo fra le quattro mura di quell’aula scolastica, ma in una cultura dei rapporti sociali e personali che porta, in nome delle “sfide del futuro” (come se la vita fosse un costante duello all’arma bianca), a un progressivo e inesorabile offuscamento di qualsiasi progetto di crescita.

Un orizzonte appannato, come nella nebbia che avvolge in questo periodo la foca/otaria di Piazza Governo. Una nebbia che si estende anche al retrostante Palazzo delle Orsoline e che metaforicamente ci dice che questa politica è incapace non solo di venire a capo del bilancio dello Stato, ma anche dello stato di salute delle prossime generazioni, alla disperata ricerca di un orizzonte che non c’è.

Leggi anche: