La decisione di una Lega in crisi di affidarsi a un ‘dittatore a tempo’ poteva portare solo al capo del Dipartimento istituzioni, per fiuto e caratura
Si potrebbe malignare finché si vuole sulla nomina di Norman Gobbi, il Cincinnato di Nante, a coordinatore e ‘dittatore a tempo’ della Lega come era uso fare nella Roma repubblicana nei momenti di crisi. Si potrebbe dire che ora nei leghisti il Plr ha dei seri alleati nell’acquisto dello stabile Botta, comunemente detto ‘Norman building’, per la nuova Cittadella della giustizia. Così come si potrebbe dire che aveva ragione uno dei pesi massimi della destra filosofica del Novecento, Carl Schmitt, nel dire che ‘Sovrano è chi governa lo Stato d’eccezione’, soprattutto quando quell’eccezione è creata da lui stesso. O ancora, andando nella politica spiccia, si potrebbe dire che la scalata dell’Udc alla Lega è lanciata mettendo un proprio tesserato alla guida del movimento di via Monte Boglia, e che se qualcuno auspicava – ma dove? ma quando? – una Lega più barricadera, con un consigliere di Stato come coordinatore c’è da chiedersi se quella barricata sarà almeno di una decina di centimetri.
Si potrebbe malignare finché si vuole, si potrebbe avere anche qualche ragione nel farlo. Ma si salterebbe a piè pari la questione fondamentale: in casa Lega non c’era alcun piano B rispetto alla scelta di affidarsi a Norman Gobbi. Sia perché per fiuto ed esperienza non ha molti rivali nel movimento, sia perché il suo ufficio di consigliere di Stato è già stato aperto più volte a riunioni di partito o a trattative con l’Udc per i vari accordi stretti in questi anni. Una nomina ‘a tempo’, che dovrebbe rimettere insieme i cocci di una Lega andata sempre più in frantumi negli ultimi appuntamenti elettorali e – molti, molti auguri – portare a un futuro coordinatore a tutti gli effetti. È questo il compito delicatissimo assegnato a Gobbi, che da fiero militare non poteva declinare.
La Lega è in perdita di velocità, e sebbene l’Udc stia crescendo moltissimo l’area di destra è in perdita. Avere in una fase cruciale come quella che condurrà alle Comunali del prossimo aprile un pontiere, uno che sicuramente l’Udc non la mette nel mirino e che coi democentristi sa parlare, può essere una pezza su cui però tutta la Lega deve saper ricamare attorno un orlo che regga. Perché il trend è chiaro, e avanti così tra un po’ l’alleanza dovrà essere chiamata Udc-Lega, non più Lega-Udc. Che il 4x4 della politica, portatore gagliardo di carisma e convinzione, assuma un ruolo quasi più da pompiere per le fiammelle che potrebbero diventare incendio nell’area di destra spiega tanto del momento.
Ma spiega anche, e torniamo a Schmitt ma pure alla cronaca politica dell’ultima decina d’anni, il vuoto cosmico che si registra nella Lega a livello di classe dirigente. Il partito di maggioranza relativa in governo da 12 anni in tutto questo tempo non è riuscito a crescere o mantenere uno straccio di alternativa ai due consiglieri di Stato e, nel momento di maggior bisogno, si è trovato con le retrovie vuote. Piene di buoni gregari, ma con nessun capitano oltre a Gobbi. C’era Michele Foletti, del quale ricordiamo bene la porta sbattuta mentre si trattava sul Preventivo 2021 e le dimissioni da capogruppo perché ‘sfiduciato dai miei’; c’era Daniele Caverzasio, che ogni volta che si permette di parlare di ‘anima sociale’ della Lega viene preso per un alieno. Ci sono giovani in formazione, che però come in azienda vanno seguiti e istruiti. Ci sono neo granconsiglieri capaci, ma con l’ampiezza delle spalle ancora da misurare a quei livelli.
Non restava altro che il Cincinnato di Nante. Tra sei mesi le cose non saranno molto diverse. ‘Adelante Pedro, con juicio’, scriveva Manzoni. Un appunto utile.