Oggi sono soltanto cinque gli Stati dell'Ue a guida socialista: dieci anni fa erano più del doppio. Emblematico il caso scandinavo
Per un pasticcio della magistratura si è dimesso, in Portogallo, il primo ministro socialista António Costa. Inizialmente era stato accusato di corruzione, in quanto a un suo capo di gabinetto sono stati trovati 75’800 euro che si pensava fossero frutto di una tangente. In realtà non solo António Costa, popolarissimo nel suo Paese, è estraneo alla vicenda in cui è finito coinvolto: la questione riguardava invece un altro ministro, suo omonimo, mentre il reato di corruzione è stato derubricato in traffico di influenze. Fatto sta che il presidente della Repubblica portoghese, Marcelo Rebelo de Sousa, dopo l’annuncio delle dimissioni di António Costa, ha indetto elezioni politiche anticipate per il 10 marzo prossimo.
Con la caduta del governo socialista portoghese riceve un ulteriore scossone la sinistra nell’Ue. Sinistra che ormai si ritrova al potere in appena 5 Stati sui 27 dell’Unione. Ovvero in Spagna, Germania, Slovenia, Malta e Danimarca. Da notare che, solo dieci anni fa, erano 13 i Paesi comunitari con un governo a guida socialista. In Francia, tanto per fare un esempio, era appena cominciato il mandato di François Hollande, mentre in Italia iniziava la stagione del Pd, prima con Enrico Letta, poi con Matteo Renzi, infine con Paolo Gentiloni. Sia in Italia che in Francia, tuttavia, la sinistra tradizionale, ritenuta ormai troppo lontana dalle masse, è stata messa in scacco da un neonato movimentismo, quello dei 5 Stelle e de La France Insoumise. In Spagna era sbocciato il movimento alter-globalista Podemos. In Grecia invece, per anni, ha governato Syriza, grazie all’opposizione a muso duro ai sacrifici imposti al Paese dalla Troika, ma oggi quel partito è guidato da un ex banchiere di Goldman Sachs e, a capo del governo, c’è il conservatore di Nuova Democrazia Kyriakos Mïtsotakis.
A sentire diversi analisti, la difficoltà che sta attraversando la sinistra europea andrebbe ricondotta al suo sostanziale appoggio alle politiche di rigore, introdotte un po’ ovunque negli anni più duri della crisi economica scoppiata nel 2008 con lo scandalo dei mutui ipotecari statunitensi e il fallimento della banca Lehman Brothers. Politiche a causa delle quali conservatori e liberali, ideologicamente più a loro agio nell’imporre sacrifici, hanno perso meno consensi. Non per niente, in molti casi, sono subentrati loro a occupare spazi, per anni, appannaggio della sinistra. Emblematico è il caso della Scandinavia. Paesi considerati tradizionali bastioni della socialdemocrazia, come Svezia e Finlandia, sono oggi governati dalla destra. Una destra con sfumature lepeniste e meloniane. Alla quale l’incapacità, innanzitutto dell’Unione europea, di dare risposte certe su temi molto sentiti dall’opinione pubblica come quello dei migranti, ha contribuito a mettere le ali. Anche se con ricette facili e di dubbia applicazione, come quella dell’esternalizzazione dei richiedenti l’asilo. Infatti, sventolare sotto il naso degli elettori soluzioni che, a prima vista, appaiono semplici da adottare, ha fatto la loro fortuna. Lasciando soli, con la loro alterigia, coloro che, nel nome dei valori della sinistra, li avevano preceduti. E poco importa se, per esempio nel caso italiano, con il governo Meloni gli sbarchi dei migranti siano cresciuti in modo esponenziale e la legge Fornero sulle pensioni, demonizzata da Salvini, rimanga intoccabile.