In carica dal 2021, il sindaco ha deciso di non ricandidarsi dando la priorità alla famiglia. C’è invece chi è in sella dal 1980 e non molla
Lumino e Castaneda distano un quarto d’ora d’auto ma i due sindaci, per come intendono l’attaccamento alla cosa pubblica, vivono uno su Marte e l’altro su Venere. Il primo, Nicolò Parente, con una decisione anomala nel mondo delle istituzioni, dopo appena tre anni di sindacato ha deciso di non sollecitare un nuovo mandato in vista delle elezioni comunali 2024. Alla politica locale, vissuta per quattro legislature dapprima come consigliere comunale e poi da municipale, ha preferito anteporre il proprio ruolo di neopapà assunto un anno fa. Al nostro giornale ha spiegato che «dedicare tutto me stesso al ruolo di sindaco vuol dire privare e privarmi di momenti unici che non torneranno più e che invece vanno vissuti appieno». Giù il cappello. Non solo perché ha coerentemente applicato il suo motto elettorale del 2021 che recitava “La famiglia al centro”, tema caro al suo partito di riferimento che ora dovrà cercare un sostituto abile quanto lui nel moltiplicare i voti nell’urna. Ma anche perché la clamorosa rinuncia ha la stessa forza della vittoria elettorale conquistata due anni fa col voto di ballottaggio che aveva colto di sorpresa Parente stesso e la sezione, trovatisi improvvisamente a gestire il Comune dopo mezzo secolo di metodo liberale-radicale.
A un tiro di schioppo Attilio Savioni detta legge dal 1980. Lo scorso ottobre, quando per la dodicesima o tredicesima volta (abbiamo perso il conto) è stato rieletto tacitamente sindaco mancando altri candidati, abbiamo pubblicato i principali eventi capitati quell’anno nel mondo: Reagan eletto presidente Usa, inaugurata la galleria del Gottardo, Lennon ucciso a New York, Olimpiadi sovietiche boicottate dal blocco occidentale, Pac-Man il videogioco giapponese conquista il mondo. Ora, nessuno di noi sa dire come Attilio Savioni, titolare di un’impresa edile, abbia gestito i propri affetti. Se si ritenga un buon padre. Se la politica di Castaneda abbia assorbito poco, tanto o troppo tempo, o per nulla. Magari bisognerebbe chiederglielo.
Un doppio fenomeno cui assistiamo vede da una parte l’esplosione, in vista delle prossime elezioni federali, di sottoliste farsa e candidati di compagnia perfettamente consci che non otterranno mai un posto al sole. Troppo facile. Dall’altra è sempre più evidente, ormai da tempo, la minore disponibilità a candidarsi, prevedendo montagne di grane, per cariche che si rischia pesantemente di dover assumere, specie nel locale. Perché la politica, nonostante trovi nella passione sincera un potente propulsore, toglie energie e ruba pezzi di umanità. «Una vita di rinunce», ha raccontato al nostro giornale Vanja De Rosa quando il marito Raffaele lo scorso 2 aprile è stato rieletto in governo.
Parente, capo staff della direzione dipartimentale di De Rosa, chiedendosi se bastino il fragore degli applausi e l’additivo del potere per compensare quanto si perde, ha invece preferito non sacrificare nella sfera privata capitoli di vita, della sua e di chi gli sta a fianco. Dopo aver raggiunto Marte, è infine rientrato sulla Terra. A pesare è stata anche la complessità del ruolo, giunta a livelli di coinvolgimento tali da scoraggiare chiunque. A meno che non diventi, a tutti gli effetti, un’occupazione remunerata a fronte del reale impegno richiesto in ore. Pena, fare la fine di Pac-Man che dopo l’abbuffata di puntini disseminati sul suo percorso finisce tra le braccia del fantasma perdendo così una delle quattro vite. Con la differenza che il sindaco di vite ne ha a disposizione una sola.