L’occasione persa di Lugano e degli altri Comuni che hanno bloccato l’agenda che ha mandato in tilt il cantone, a ridosso dell’inizio dell’anno scolastico
«La scuola dell’obbligo ha il dovere di accogliere tutti». A dirlo, nell’ottobre del 2020, era stato alla ‘Regione’ il capodicastero Formazione, sostegno e socialità di Lugano Lorenzo Quadri, interpellato su quello che allora era apparso come un unicum in Ticino: l’integrazione di un alunno di scuola elementare con un’identità di genere diversa da quella biologica. Il municipale leghista aveva – giustamente – difeso la scelta di famiglia e scuola: riconoscere e assecondare il desiderio del bambino che si sentiva bambina. Per la cronaca: il caso riguardava una bambina ben più piccola della quinta elementare, anno scolastico al quale sono, facoltativamente, indirizzate le agende scolastiche realizzate da Decs e Dss e che tanto stanno facendo discutere in questi giorni, in un cantone che sta scoprendo di avere un’altissima concentrazione di esperti di pedagogia.
Certo, le polemiche non erano mancate neanche allora, quando a rendere pubblica la vicenda era stato un atto parlamentare di area Udc/Udf. Pur cercando di rispettare la sfera privata della famiglia, l’episodio aveva avuto però il merito di aprire il dibattito su un tema di chiaro interesse pubblico. Ma soprattutto, è la prova concreta dell’esistenza del fenomeno anche nelle scuole comunali ticinesi. Direzione scolastica, docenti, compagni di classe e relativi genitori, e poi la bambina in questione e la sua famiglia, avrebbero affrontato meglio il cambiamento di identità di genere se avessero avuto a disposizione qualche strumento in più? Sarebbe stato necessario mettere in campo tutto l’accompagnamento attuato, se il tema non fosse così tanto un tabù?
Il nocciolo dell’argomento è questo. Il cambiamento di identità di genere del 2020 come è stato presentato alla classe? Con parole diverse rispetto a quelle dell’agenda? In altri eventuali casi non emersi pubblicamente o situazioni future cosa è stato fatto o si intende fare? Di certo, bloccandone la distribuzione nelle proprie quinte il Municipio di Lugano ha deciso che uno strumento in più non sarà il diario e che intende gestire in un altro modo casi che, per quanto minoritari, esistono. Al bisogno, probabilmente. Legittimo, ma è un’occasione persa. Come lo è per gli altri esecutivi che hanno preso la medesima decisione. Lo scopo della vignetta è cercare di introdurre un concetto nuovo e non immediato, allo scopo di favorire l’inclusione, promuovendo l’accettazione della diversità. Lo si fa in modo superficiale, hanno detto in molti fra i contrari. Possibile, ed è certamente uno spunto da approfondire per il Cantone per le edizioni successive dell’agenda scolastica. Il messaggio dei contrari però sembra: per non parlarne superficialmente, meglio non farlo del tutto.
Peccato che siamo nel 2023. Esiste una nutrita letteratura per ragazzi che permette di approcciare il tema, se lo si desidera. Ragazzi che, già in quinta elementare, trascorrono intere ore allo smartphone e non di rado utilizzano un linguaggio da adulti. Cercare di tenerli sotto una campana di vetro non si può e modi e modalità utilizzati da Tresa a inizio settimana per smarcarsi, su un tema che pure definiscono delicato, hanno sapore elettorale. Di maggior buonsenso appaiono le più discrete prese di posizione della maggioranza dei Municipi da noi interpellati, che temporeggiando spiegano di star facendo valutazioni con le direzioni scolastiche restituendo così il tema a chi l’agenda l’ha concepita: i professionisti dell’educazione.