Dai problemi di ordine pubblico nel Mendrisiotto al suicidio del 20enne a Cadro: il settore dell’accoglienza dei migranti è in subbuglio e cerca soluzioni
Il settore dell’accoglienza dei migranti in Ticino è in subbuglio. Una serie di episodi più o meno gravi lo hanno scosso. L’ultimo, gravissimo, è il suicidio di un richiedente l’asilo afghano di soli vent’anni al centro di Cadro. Un fatto che preoccupa, non solo perché non è il primo – in generale, non nella struttura luganese –, ma anche perché rischia di non essere l’ultimo. A dircelo, durante la commemorazione organizzata a Lugano, sono i ragazzi che conoscevano Arash. Ma c’è anche un osservatore più oggettivo: la Commissione nazionale per la prevenzione della tortura (Cnpt), preoccupata per l’alta frequenza di pensieri suicidi riscontrata durante le sue visite ai centri federali d’asilo.
E nei centri d’accoglienza cantonali gestiti dalla Croce Rossa Svizzera (Crs) in Ticino qual è la situazione? Difficile dirlo. Nel nostro cantone, non esiste un organo come la Cnpt, che opera anche su suolo ticinese ma nelle strutture federali. Il tragico destino di Arash ha ravvivato il dibattito politico sul tema, rispolverando la già pendente richiesta di estendere le competenze della Commissione parlamentare di sorveglianza sulle condizioni di detenzione. Se quest’istanza andrà in porto o se la via sarà un’altra poco importa, ciò che conta è che effettivamente ci sia un’attenzione accresciuta su un settore delicato, in particolar modo quando si parla di minorenni non accompagnati o di giovani adulti. Questo, perché la questione è in primo luogo umanitaria.
Certo, attualmente a dominare è il dibattito politico. Anche perché nei medesimi giorni del suicidio si è parlato anche delle problematiche di ordine pubblico e di sicurezza percepita principalmente nel Mendrisiotto riconducibili ad alcuni richiedenti l’asilo e alla relativa lettera inviata dal consigliere di Stato Norman Gobbi alla consigliera federale Elisabeth Baume-Schneider, alla quale chiede interventi veloci e incisivi per risolvere un presunto ‘caos dell’asilo’. Se la destra rivendica regole e punizioni più severe per chi sgarra, a sinistra domina lo sdegno per un suicidio che si sarebbe forse potuto evitare, sollevando dubbi sulla presa a carico delle persone con fragilità. Presa a carico che, assicurano Crs e Soccorso Operaio Svizzero – che si occupano rispettivamente della prima e della seconda fase di accoglienza dei richiedenti l’asilo, una volta usciti dai centri federali d’asilo – c’è, seppur possa essere migliorata.
Come? Favorendo in primo luogo socializzazione e integrazione di queste persone, due elementi cardine della salute mentale di ciascuno. A tal proposito, nel 2019 è stata adottata l’Agenda Integrazione Svizzera, che – finanziandoli – obbliga i Cantoni a implementare una serie di misure affinché dovunque determinati obiettivi di integrazione siano garantiti. Ciononostante, suicidi continuano a capitare e il disagio cresce. Porsi domande sull’efficacia delle prese a carico è quindi più che legittimo. Le tante misure sono adeguate? Oppure si potrebbero testare soluzioni alternative, come il modello vodese, che prevede un’accresciuta ospitalità dei migranti in famiglie piuttosto che nei foyer?
È giusto che la politica affronti seriamente l’argomento, se possibile senza bordate populiste. Le discussioni sull’accordo raggiunto dall’Unione europea con la Tunisia sull’esternalizzazione dell’accoglienza forse val la pena lasciarle ad altri: alla politica locale compete trovare soluzioni ai problemi locali. Nel rispetto della dignità di tutte le persone.