laR+ IL COMMENTO

Ex Macello, se anche l'inchiesta finisce in frantumi

La sentenza della Corte dei reclami penali pretende ulteriori approfondimenti per spazzare via sospetti e ambiguità

In sintesi:
  • A due anni dall'abbattimento di un edificio, restano la chiarire le responsabilità
  • Sia le indagini sono da completare sia fiducia nella istituzioni è da ricostruire
Dopo la demolizione, area venne messa sotto sequestro
(Ti-Press/Archivio)
1 luglio 2023
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È per certi versi fragorosa la sentenza della Corte dei reclami penali, che ha messo in luce i ‘buchi’ dell’inchiesta condotta dal procuratore generale Andrea Pagani sulla demolizione di uno stabile dell’ex Macello di Lugano. Una sentenza che ha sconfessato il decreto di abbandono al quale era giunto il magistrato inquirente un anno e mezzo fa. Il motivo dell’abbattimento dell’edificio era stato attribuito da Pagani a incomprensioni comunicative tra Municipio di Lugano e forze dell’ordine. Già allora, l’esito dell’inchiesta era apparso traballante, non solo nelle successive valutazioni degli autonomi del centro sociale Il Molino, la parte coinvolta.

L’esito delle indagini ha avuto il merito di rassicurare la politica, ma la presenza delle ruspe a Cornaredo già la mattina del 29 maggio 2021 ha contribuito ad alimentare i sospetti che la demolizione del tetto e di una parete dell’immobile, poi inevitabilmente crollato del tutto, fosse già stata pianificata e perlomeno prospettata quale scenario ai membri dell’esecutivo di Lugano. Le spiegazioni contenute nel decreto di abbandono non hanno convinto nemmeno la Crp. Del resto, le discrepanze e le contraddizioni tra le versioni riferite al magistrato dai municipali di Lugano, rispetto a quelle degli alti funzionari delle forze dell’ordine, erano già emerse sui media ben prima della conclusione delle indagini. Come se l’edificio fosse stato abbattuto senza che nessuno se ne volesse attribuire la responsabilità. Ma qualcuno deve pure aver dato l’ordine alle ruspe di muoversi. Eppure, come avvenne al Maglio di Canobbio, per evitare che, dopo lo sgombero, gli autonomi tentassero di tornare negli stabili, sarebbe stato sufficiente murare gli accessi all’ex Macello.

È apparso disarmante, per la credibilità delle istituzioni, dover assistere a una sorta di scaricabarile, come se le forze dell’ordine avessero deciso autonomamente di procedere senza l’avallo della politica. In tanti si sono chiesti a chi dare credito su un elemento cruciale della vicenda, ossia l’abbattimento nel cuore della notte tra il 29 e il 30 maggio del 2021 dell’edificio utilizzato da alcuni autonomi quale dormitorio. Per di più, messo in atto a sgombero già effettuato di quegli spazi (poco più della metà del sedime ex Macello) concessi dall’allora Municipio attraverso una convenzione siglata tra le parti nel dicembre del 2012.

L’intervento delle ruspe dovrà ora ulteriormente essere approfondito dal pg, chiamato a spazzare via le speculazioni e le ambiguità che sono aleggiate. L’imperativo è quello di fare chiarezza, affinché si possa ricucire lo strappo e ricostruire così la necessaria fiducia nella giustizia da parte di tutta la cittadinanza. Tutto questo, con Karin Valenzano Rossi, titolare del Dicastero sicurezza di Lugano, formalmente sotto inchiesta, nell’anno elettorale. Dal profilo giuridico, la Crp ha richiamato il principio ‘in dubio pro duriore’: il decreto di abbandono non può essere pronunciato fintantoché non appare chiaro che i fatti non siano punibili, o che le condizioni per il perseguimento dei reati non siano adempiute. In sostanza, la Procura ha il dovere di andare fino in fondo.