La dignità del lavoro è minacciata da molte parti, ma a quanto pare non è un gran problema
Non amo molto chi grida allo scandalo: il più delle volte si tratta di tartufi, giornalisti esagitati e turgidi populisti, che brandiscono la mazza dello sdegno per conquistare un traballante piedistallo morale. Però ha ragione il segretario cantonale dell’Ocst Renato Ricciardi, quando rivendica "il diritto di scandalizzarci e denunciare le situazioni di sfruttamento e speculazione che continuano a riguardare alcuni settori professionali".
Ce n’è più d’una, di queste situazioni, come dimostrano molte recenti inchieste e le denunce degli stessi sindacati. Ci sono i fattorini costretti a far pipì in una bottiglia, pur di completare in tempo utile il loro giro di consegne. I rider a cottimo, sottoposti a estenuanti tempi morti non retribuiti e a paghe da fame. I lavoratori invisibili dei tanti capannoni fantasma tirati su per schivare le tasse. Infermiere e infermieri che mollano sotto il peso di condizioni proibitive, col risultato che una società di vecchi non avrà più chi se ne prenderà cura. O ancora le molte cenerentole del terziario, confinate in un retrobottega in cui i contratti vengono scritti con l’inchiostro simpatico sul rovescio di lauree e curriculum ("mio nipote me lo fa per la metà").
C’entrano anche i sindacati gialli, ovviamente, quelli i cui rappresentanti non vedono non sentono non parlano, ma scrivono, o meglio: firmano nulla osta a certi tramaccioni dalle belle braghe bianche, nella speranza che si ricordino degli amici. Un po’ come quel TiSin – non è l’unico, ma qui il canovaccio di furbizia e goffaggine pare uscito da una commedia dialettale – che aiutava alcuni Scrooge ad aggirare il salario minimo per spremere ulteriormente i frontalieri.
Tutte vicende per le quali, purtroppo, la propensione a scandalizzarsi si direbbe piuttosto sopita, soprattutto adesso che da queste parti è tutta campagna elettorale. Altrimenti non si capisce come mai i responsabili di queste imposture continuino a occupare la scena politica, anzi si candidino perfino a ruoli da protagonista. Sarà che spesso ci vanno di mezzo stranieri e frontalieri, bersagli ideali per gli argomenti-fantoccio di certi arruffoni. Saranno pure i solerti soffietti elettorali dei soliti media, con le loro operazioni simpatia per distrarsi dagli assalti alla dignità del lavoro (cui si contrappone semmai il ‘merito’; concetto caro, chissà perché, soprattutto a miracolati e raccomandati). Intanto la sinistra fatica a trovare sul tema una voce credibile, impegnata com’è a traccheggiare e a imbarcare i relitti del realsocialismo e della guerra fredda.
Il risultato è lì da vedere: per atteggiarsi a difensori del lavoro basta qualche appello rituale al mitologico ceto medio, la manierata esaltazione d’un coraggio imprenditoriale mai vissuto in prima persona, magari una gomitata ai frontalieri e la promessa – in ritardo di trent’anni sulla realtà – che basta un po’ di deregulation e la pillola va giù. Sicché "la forza di incazzarsi ancora", di cui cantava un sommo Guccini "con la coscienza offesa", in giro si trova pochino. E dire che a volte non è neppure necessario scandalizzarsi: basterebbe non farsi abbindolare.