Le dichiarazioni del direttore del Dt sull’alleanza con l’Udc sono una bomba che rischia di esplodere, e mostrano un mix tra fastidio e preoccupazione
Alla base dell’alleanza per il governo cantonale tra Lega e Udc non c’è alcun discorso d’area, al netto di posizioni comuni che convivono in quanto si tratta di due partiti di destra. A esserci c’è solo da un lato l’ambizione di Norman Gobbi e Claudio Zali di mantenere il loro seggio in Consiglio di Stato, dall’altro quella del presidente democentrista Piero Marchesi di entrare nell’Esecutivo. Lo scrivemmo quasi un anno fa, il concetto è ancora il medesimo.
Sono ambizioni lecite, ci mancherebbe. Ma il tentativo di vestirle d’altro è stato un’operazione ardita e che, davanti alle sortite di Zali alla festa leghista di domenica, ha mostrato tutti i suoi limiti politici e comunicativi. Le bordate che ha lanciato il direttore del Dipartimento del territorio leghista all’indirizzo dell’Udc certificano una bomba che rischia di esplodere in mano all’alleanza, perché non si è trattato solo di rivendicare il proprio ruolo da azionista di maggioranza. Invitare a votare Lega, e quindi "niente doppi passaporti, niente alleati di comodo" – oltreché tirare per il colletto anche lo stesso Gobbi, che il doppio passaporto Lega/Udc lo ha in tasca – mostra che forse la sfinge impassibile sempre impersonata dal direttore del Dt potrebbe cominciare a sgretolarsi.
Partendo dal puro e semplice discorso aritmetico, che è poi alla base dell’alleanza: senza la lista unica, il secondo seggio della Lega sarebbe in forte pericolo. Trasformare quindi mediaticamente un’intesa necessaria per salvare i due seggi in un ostacolo alla purezza di via Monte Boglia pare forzato, ed è curioso che a esporsi sia stato uno Zali che ha fatto del senso della misura e delle proporzioni uno dei suoi tratti politici distintivi. Un eccesso di sincerità, una crescente preoccupazione per il proprio seggio conteso dagli sgraditi alleati o un invito a schierarsi a testuggine... è comunque un tornante nell’alleanza in cui, ad ogni modo, l’Udc dopo esser stata portatrice d’acqua negli anni scorsi è rientrata con la grazia di un elefante in cristalleria.
In una posizione però tutto sommato comoda: essere una forza di opposizione, fuori dal governo, che dice quello che pensa sulla conduzione di ogni dipartimento perché, negli ultimi anni, ha nettamente ampliato il proprio argomentario passando dal triviale ed evitabile ‘Bala i ratt’ a proposte più precise su scuola, finanze, lavoro, socialità. Vincendo più volte in votazione popolare sulle proprie iniziative. Facendo, insomma, quello che faceva la Lega prima di istituzionalizzarsi e – nonostante l’impegno degli ultimi indefessi giapponesi – essere avvertita sempre più come parte dell’establishment. Il movimento della ‘Carovana della libertà’ è finito a scatenarsi contro l’autogestione a Lugano in nome della legalità; dal ‘massimo 35mila frontalieri’ del 2011, dopo dodici anni di maggioranza relativa leghista si è arrivati a sfiorare i 78mila. Le rivoluzioni che riescono finiscono sempre al governo in giacca e cravatta, la Lega non fa eccezione.
L’Udc invece ha le mani libere, e questo è anche giusto che faccia innervosire un leghista della prima ora, per quanto atipico, come Claudio Zali. Ma appunto perché leghista della prima ora e uomo intelligente Zali stesso dovrebbe capire i cambiamenti degli ultimi anni, non solo limitarsi alla contabilità che gli potrebbe portare paradossalmente più voti dall’elettorato rossoverde che da quello democentrista.