La denuncia della ricercatrice Fereshta Abbasi: ‘Gli afghani vivono un incubo, vittime della crudeltà dei talebani e dell’apatia internazionale’
Ci si interroga da tempo per capire se il ‘mondo nuovo’ (quello che ridisegnerà i rapporti di forza fra Occidente e Russia-Cina) sia nato il 24 febbraio scorso, con l’invasione dell’Ucraina, o piuttosto il ferragosto di un anno fa, con la caduta programmata di Kabul nelle mani dei talebani.
Visto dal Cremlino, e non solo, l’agosto 2021 fu la prova certa del declino e del disimpegno strategico del gendarme globale americano: l’abbandono dell’Afghanistan dopo due decenni, annunciato da Obama, concordato da Trump coi talebani (l’intesa di Doha condensata in quattro ambigue paginette, in cui la principale preoccupazione Usa è di ripetere per ben 14 volte che Washington non riconoscerà il rinato Emirato islamico), attuato infine nel peggior modo possibile da Biden. Putin ne avrà sicuramente tratto la convinzione che, preparati da diversi anni, potevano essere accelerati i piani dell’‘operazione militare speciale’ per l’annessione sostanziale dell’Ucraina, trasformando la ‘piccola Russia’ dell’ex impero nel teatro della peggior tragedia europea dal 1945.
È anche possibile che per rimediare allo spettacolo offerto con lo ‘spettacolo afghano’, la Casa Bianca abbia deciso di gonfiare i muscoli nei confronti della Cina sul problema di Taiwan, subito dichiarando che "Formosa non sarà mai Kabul", e poi non condannando con fermezza l’insensato viaggio sull’isola della speaker della Camera Nancy Pelosi.
Un anno dopo, è il dramma dell’Afghanistan – troppo in fretta dimenticato – a doverci interrogare. Per cominciare, la gravissima situazione umanitaria: secondo i dati della Croce Rossa Internazionale 20 milioni di persone, circa la metà della popolazione, vive al di sotto del livello di povertà, mentre altre organizzazioni umanitarie denunciano lo stato di malnutrizione acuta per tre milioni di bambini, ragazzine vendute da famiglie disperate, e l’elenco è assai parziale.
Poi, l’unico punto certo su cui i divisi gruppi jihaddisti concordano: la "sparizione del corpo delle donne", coperte da velo, burqa, divieti, paura, frequentazione della scuola solo fino a 12 anni, perseguitate sia dal ritorno della tradizione sia dai maniaci controlli del Ministero "per la promozione della virtù", e le pallottole dei kalashnikov che sibilano sopra le teste di gruppi di coraggiosissime donne che comunque protestano pubblicamente. Infine, la quasi certezza che il Paese stia ridiventando quello che i talebani avevano promesso di non voler più essere: la piattaforma del radicalismo islamico, come dimostra la presenza e l’uccisione a Kabul, con drone statunitense, del capo di al-Qaeda e successore di Bin Laden, al-Zawahiri.
Ma c’è anche, pesantissima, la decisione dei governi occidentali d’isolare gli ‘eredi del mullah Omar’ dopo averli riportati al potere, di congelare 9 miliardi di dollari all’estero appartenenti alla Banca centrale afghana, di ridurre drasticamente gli aiuti stranieri pur sapendo che prima della resa garantivano il 75 per cento della spesa pubblica. Uso ideologico dell’aiuto umanitario. Denuncia perciò Fereshta Abbasi, ricercatrice afghana di Human Rights Watch: "Gli afghani vivono un incubo, vittime della crudeltà dei talebani e dell’apatia internazionale". Obiettivamente complici nell’affamare un popolo. Intollerabile eredità e vile ritorsione per una guerra persa.