La riconoscenza e il coro sommesso del Signore delle cime
L’idea era semplice ed ambiziosa: creare una rassegna del cinema di montagna che riunisse il meglio dei festival già esistenti, da Trento a Le Diablerets, da Banff in Canada a Autrans in Francia, da Graz in Austria a Torello in Spagna e Ushuaia in Argentina... Era il 1993. Per Marco Grandi Lugano e il Ticino, terra di frontiera tra laghi e montagne, potevano essere i luoghi ideali per un’iniziativa coraggiosa al punto di apparire temeraria. Ma il progetto ha retto allo scontro con la realtà, inserendosi da una parte nella grande storia svizzera del rapporto con la montagna e, dall’altra, in quella realtà ticinese che, seguendo l’esempio di Romolo Nottaris – autore con Tiziano Zünd nel 1981 della prima ascensione svizzera di un "ottomila", il Gasherbrum II, nel Karakorum in Pakistan – ed altri, si andava affermando come una delle tendenze più legate al territorio e al desiderio di avventura e scoperta. Un’idea fantastica, nata in pratica all’ombra dei Denti della Vecchia, tra Scoiattoli cresciuti, tra un giro e l’altro di posta.
Di casa a Breno, Marco Grandi era postino con le scarpe da tennis a Cademario, trovando il tempo per ascensioni e avventure montane, veloce nel districarsi tra le bucalettere come nei giri di corda delle scalate in solitaria e in compagnia. Attratto dal binomio montagna-cinema, aveva iniziato a frequentare il Festival di Trento, allora già celebre nel mondo della montagna, con tale competenza da essere chiamato a più riprese a far parte della giuria. Avendo così la possibilità di incontrare altri esperti, cineasti e alpinisti, scrittori e documentaristi, produttori e distributori. Oltre ad appassionati e protagonisti anche ticinesi della montagna come Mario Casella, guida alpina e cineasta, e Fulvio Mariani, una delle eccellenze nel campo di film e documentari di montagna, autore tra l’altro di "Cumbre" dove documenta la straordinaria prima ascensione del Cerro Torre da parte di Marco Pedrini, e di "Gasherbrum 4".
In questo ambiente di slanci ed energia nasce l’intuizione di riunire, presentare e ulteriormente diffondere il meglio del cinema mondiale sulla montagna. Una sorta di Best off, di meglio del meglio che ben presto ha trovato la sede ideale nell’auditorium della Scuola tecnica superiore, oggi Supsi a Trevano, luogo d’incontro ormai mitico per gli appassionati di montagna. Tra gli ultimi giri di posta di Marco Grandi e un crescente successo il Festival dei Festival è diventato un appuntamento fisso nel panorama internazionale e un punto d’onore per Lugano. È cresciuto come un albero frondoso in cui, attorno all’idea iniziale di cinema e avventura, ha saputo sviluppare conferenze, dibattiti, premi, presenze dai maggiori alpinisti, mostre d’arte e fotografia di montagna, libri, musica e cori... Sede a Trevano, ma con frequenti raid in città e in altre parti del Cantone, in Svizzera e anche all’estero. Al centro sempre lui, Marco Grandi, attorniato da volontari uniti dalla passione per la montagna, anzi della cultura di montagna. Co-fondatore dell’International Alliance for Mountain Film, gestiva i contatti con i massimi specialisti e alpinisti. Da Lugano sono passati un po’ tutti, da Messner a Walter Bonatti, da Loretan a Ueli Steck, da Kammerlander a Simone Moro, Silvia Metzeltin, Hervé Barmasse e tanti altri. Ogni anno ecco il memorial Luca Sganzini a personaggi dell’alpinismo, della divulgazione e arricchimento della cultura alpina e dell’impegno a favore della socialità nel contesto montano in generale e ticinese in particolare. Puntuti Oscar di roccia, scelti e affidati con cura anche a piccoli-grandi film di cineamatori nostrani e stranieri, ad artisti magari poco o niente conosciuti che hanno dipinto, cantato la montagna. Un esempio: chi prima aveva potuto ammirare i dipinti di Remo Patocchi di Peccia, "le peintre des Alpes"?
Già vent’anni fa al FdF si parlava di scioglimento dei ghiacciai, di permafrost, riscaldamento climatico, collegamenti alpini, scomparsa delle specie, consumismo alle alte quote, gioie semplici e fatiche, invenzioni e tradizioni creando collegamenti ideali e concreti con paesi e realtà lontane. Storie fantastiche di alpinisti e scienziati, ma anche di uomini e donne che non si arrendono. Da allora e per 26 edizioni i migliori film di montagna sono transitati a Lugano, spesso prima che nei grandi Festival di Locarno, Cannes e Berlino. Al punto da far diventare Lugano una capitale forse inconsapevole di quella cultura di montagna di cui tutti oggi avvertiamo la necessità. Un Festival come spettacolo, certamente, ma ancor più come richiamo a inserire il passato e i suoi slanci nel nostro futuro.
Infine il Covid, la speranza della ripresa, la malattia feroce. Adesso il ricordo, la riconoscenza e il coro sommesso del "Signore delle cime".