Riuscirà Giona Nazzaro, il direttore artistico scelto da Marco Solari, a coniugare le varie anime del festival?
Si ricomincia! Dopo un anno di quasi pausa in cui abbiamo potuto solo gustare un simil-festival online, senza il piacere di vedere i film in Piazza grande o in sala circondati da altri spettatori, senza poter discutere alla fine della proiezione sulla qualità a meno del film appena visto, senza poter incontrare registi, attori, tecnici, insomma senza poter respirare il vero odore del festival di Locarno, siamo ancora qui, all’appuntamento annuale che ha caratterizzato i miei ultimi 50 anni – seguo il festival come giornalista da 50 anni ma ho iniziato come semplice studente 55 anni fa! – pieno di entusiasmo e di aspettative.
Dopo la meteora della direzione parigina di Lili Hinstin, che non ha lasciato traccia nella storia del festival, il presidente Solari ha preferito una strada più sicura: Giona Nazzaro, un giornalista svizzero che conosce bene Locarno, forse meno giovane di tanti direttori precedenti ma come abbiamo scritto più volte negli scorsi anni non esiste una “scuola di direttore di festival”. È una professione che si impara sul campo con serietà e umiltà, senza rinnegare la storia di una manifestazione ma eventualmente cambiando lentamente se necessario, stando attenti a quello che fanno gli altri, e soprattutto seguendo attentamente quello che succede nel mondo del cinema a livello mondiale, senza pregiudizi e senza occhio di riguardo per certe paesi (come purtroppo fece Lili il primo anno con la Francia…).
Impossibile esprimere un giudizio sul nuovo direttore in base al programma sulla carta: aspettiamo di vedere i film. La difficoltà maggiore è sicuramente quella di coniugare le varie anime del festival, in particolare il desiderio di parte del pubblico di avere il grande cinema, magari anche accompagnati da attori famosi – pensiamo al pubblico della Piazza – con la voglia di scoprire nuovi orizzonti cinematografici che caratterizza il pubblico più cinefilo. Non esiste un solo festival, ma ogni spettatore crea il proprio percorso, mescolando il passato con la retrospettiva, il presente con il Concorso e il programma della Piazza e il futuro con i Cineasti del presente e i corti.
Certo che l’obbligo di riservare in anticipo i posti rende tutto più complicato, una volta si poteva decidere all’ultimo momento di andare a vedere un film di cui si era sentito parlare oppure abbandonare una proiezione di un film non gradito per tuffarsi in un’altra sala, ma oggi tutto questo è complicato… Intanto a Locarno si respira la solita aria, le strade e i portici sono pieni di turisti, e di festivalieri con il loro badge al collo – che non serve a nulla, solo a distinguere i festivalieri dalla gente “normale” quelli che il festival lo sopportano o lo ignorano – la macchina è oramai rodata, la piazza ha visto sorgere per la cinquantesima volta il grande schermo (era il 1971 quando su progetto dell’architetto Vacchini il festival abbandonò il giardino del Grand Hotel per trasferirsi in Piazza Grande), il Palacinema è oramai una realtà le altre sale come Fevi, la Sala sono rinate dal nulla, Gran Rex e Teatro resistono, insomma tutto ricomincia: dopo una serata di prefestival ieri si sono ufficialmente spente le luci e il festival è ufficialmente iniziato.
Voglio concludere con una dedica personale. La Settimana della critica, sezione indipendente del festival gestita dall’Associazione dei critici cinematografici, ha deciso di dedicare l’edizione di quest’anno a Marco Zucchi, il collega scomparso l’anno scorso che l’aveva diretta negli ultimi tre anni. Io vorrei dedicare all’amico Marco tutta l’edizione del festival: ci mancheranno i suoi commenti alla Rsi. Un abbraccio cinematografico.