Ancora troppo grande il divario tra il calcio femminile svizzero e quello del resto d’Europa
I quarti di finale degli Europei femminili di calcio si giocheranno senza la Svizzera, eliminata dopo un pareggio e due sconfitte. Nel 2022, mai vittoriose in 8 partite, le elvetiche hanno subito 24 gol segnandone solo 5. Superano invece il turno Svezia, Belgio e Olanda, che giocano bene perché nei loro Paesi – demograficamente modesti come il nostro – prima che professione retribuita il calcio delle donne è fenomeno di massa grazie a sistemi educativi che consentono alle bambine di giocarci ogni giorno. Qualcuno però, commentando il fallimento rossocrociato, preferisce ruffianamente invocare l’avvento del professionismo e stigmatizzare la scarsa visibilità data a questa disciplina. Come se per trasformare castagne in tartufi bastasse servirne abbondanti razioni. Affinché il calcio muliebre catturi l’interesse di media e sponsor servono in realtà progressi tecnici che per ora si intuiscono soltanto. Il solo esercizio in cui le donne hanno raggiunto i maschi, da noi, è calciare i corner: li battono male come gli uomini. Il sessismo non c’entra: a tener lontano la gente dai campi femminili è lo stesso motivo per cui nessuno va a vedere partite di Quarta lega maschile, cioè lo scarso appeal dello spettacolo offerto. I calciatori di Rancate e Lema al massimo riescono a incastrare fidanzate e fratelli, ai quali peraltro va tutta la nostra solidarietà.
Il problema è che già nei pulcini fra i maschi c’è una tale abbondanza di iscritti, società e campionati da poter fare presto selezione. I più bravi raggiungono i vivai migliori, con la speranza di finire in Super League e vivere grazie al pallone. E i brocchi, divertendosi, possono giocare in Quarta lega finché incanutiscono, senza la pretesa di essere pagati. Alle bambine mancano le chance che sono invece date ai loro coetanei dell’altro sesso. A 14 anni, finito di misurarsi mischiate coi maschi, per loro giocare diventa quasi impossibile. Spesso per riuscire a organizzare un campionato bisogna far giocare anche le più scarse, o schierare insieme ragazzine e donne adulte, condizioni che spingono più ad abbandonare che a perseverare. Non certo l’ideale, se l’obiettivo è la crescita qualitativa: fra le nostre migliori atlete ce n’è sicuramente qualcuna che, in Svezia e Olanda, avrebbero scartato già da bambina. Il modesto livello della Nazionale è dunque figlio di un sistema carente già alla base, prima ancora che dei magri guadagni delle giocatrici adulte. Il professionismo dev’essere semmai una conseguenza, non certo l’assunto.