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Conferenza di Lugano: ‘principi’ del domani e guerra di oggi

La Urc2022 si chiude con una ‘Dichiarazione’ che getta le basi del processo di ricostruzione dell’Ucraina. Il risultato non è da disprezzare

Da Lugano al Regno Unito nel 2023
(Keystone)
6 luglio 2022
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L’Ucraina ha i suoi sette princìpi ‘per il processo politico della ricostruzione’, Lugano la sua ‘Dichiarazione’ che li enuncia. Il documento finale della Ukraine Recovery Conference (Urc2022) gode di quell’«ampio sostegno» (42 Stati, l’Ue, diverse organizzazioni internazionali) che Ignazio Cassis si augurava. E l’evento ospitato in riva al Ceresio, elevato da ‘tecnico’ a ‘politico’, non rimarrà fine a sé stesso: quasi certamente sarà il calcio d’inizio (kick-off) di un processo di ampia portata, destinato a prendere forma negli anni a venire. «Credo che abbiamo raggiunto ciò che ci eravamo prefissi di fare in poco tempo», ha detto il presidente della Confederazione.

Tutto questo può anche non sembrare granché. Soprattutto alla luce delle aspettative iniziali – ridimensionatesi cammin facendo – sulla partecipazione di un cospicuo numero di politici di alto livello. Il risultato però non è da disprezzare. In primo luogo perché qui – lo ha ribadito ancora ieri alla Rsi l’ambasciatore speciale della Confederazione Simon Pidoux – non si è mai trattato di affrontare il cosa e il quanto (leggi: soldi), ma piuttosto il come della ricostruzione. E poi perché comunque era giusto parlare già oggi di ‘recovery’ (ripresa). Mesi, anni: nessuno sa quanto durerà questa guerra. Eppure occorreva ragionare sin d’ora sul futuro a medio-lungo termine di un Paese che non gode di buona reputazione in fatto di lotta alla corruzione o indipendenza del potere giudiziario. Un Paese che proprio per questo – come peraltro insiste da tempo l’Ue, alla quale aspira, e come adesso opportunamente sancisce anche la Dichiarazione di Lugano – dovrà dotarsi di meccanismi e istituzioni in grado, tra le altre cose, di vegliare al corretto utilizzo della manna di denaro che presto gli pioverà addosso.

Il problema è che la guerra impazza. A ricordarcelo, proprio mentre i capi delle delegazioni portavano il loro sostegno ai ‘princìpi di Lugano’, un dispaccio dell’agenzia Ansa che riferiva di un attacco missilistico nella città di Mikolayv e di bombardamenti russi su altre località del Sud dell’Ucraina. Nella notte, il presidente Zelensky ha sì evocato la conferenza di Lugano parlando di un «giorno molto importante». Ha anche avvertito però che «la ripresa dell’Ucraina non riguarda solo ciò che deve essere fatto dopo, dopo la nostra vittoria, ma anche ciò che deve essere fatto in questo momento». Ad esempio: continuare a fornire aiuti umanitari; rimettere in sesto case, strade, scuole e ospedali; garantire la disponibilità di acqua potabile; fare in modo che i riscaldamenti funzionino il prossimo inverno, versare stipendi e pensioni (il premier Shmyhal ha ricordato che la guerra causa un ‘buco’ di 5 miliardi di dollari al mese nelle dissanguate casse dello Stato).

Secondo il Kiel Institute for the World Economy, la Svizzera è stata finora uno dei Paesi meno generosi negli aiuti bilaterali all’Ucraina in relazione al Prodotto interno lordo. A Lugano Cassis ha annunciato l’impegno a raddoppiare (a 100 milioni di franchi) gli aiuti entro la fine del 2023. Non sono pochi soldi, ma nemmeno un’enormità. Quanto basta, a ogni modo, per non rischiare di fare la figura di quelli col braccino corto, poco propensi a mettere mano al borsellino, ma sempre bravi a parlare di princìpi. Anche in una città che – oltre ai mille e rotti partecipanti alla Urc2022 accolti in questi due giorni – ospita un discreto numero di società che continuano a fare affari d’oro col commercio del petrolio e di altre materie prime russe.