Il mattoncino del muro di Berlino me lo aveva regalato l’amico filosofo che era stato da quelle parti nel 1989...
Il mattoncino del muro di Berlino me lo aveva regalato l’amico filosofo che era stato da quelle parti nel 1989. Simboleggiava la fine del totalitarismo e il trionfo definitivo della democrazia. Allora ci avevamo creduto, anzi ne eravamo entusiasti e un saggista inventò pure una formula di successo: il 1989 come "fine della storia". Con la dissoluzione definitiva dei vari fascismi in circolazione, il futuro era della democrazia liberale, non c’erano opzioni possibili. Sorse allora l’idea, perniciosa e infausta, ma di vecchia tradizione, che qualche baionetta e alcune cannonate ben assestate potessero accelerare la liberazione dei popoli: questo si diceva allora. Ma l’idea non troppo recondita era quella di ridisegnare le zone di influenza e debellare i regimi poco graditi. Sappiamo come sono andate le cose.
Pochi anni sono bastati e il saggista di successo ha dovuto correggere il tiro e ammettere che la democrazia liberale era insidiata dall’interno e dall’esterno. Dall’interno, perché il liberismo globalista è la degenerazione del liberalismo e ha creato abissali diseguaglianze: è antipolitico per definizione (se intendiamo la politica come ricerca del bene collettivo e non di pochi) e non riconosce il principio secondo cui non c’è vera democrazia senza welfare. I cittadini hanno cominciato a diffidare di un sistema che promette a tutti ma dà a pochi e li proclama re e regine, ma poi li lascia nudi. In questo contesto di disillusione politica e sociale sono avanzati coloro che esaltano la dignità collettiva (la grandezza della nazione, il sovranismo) e assicurano benefici personali immediati (è la forza del populismo). Il fascino crescente delle cosiddette democrazie illiberali (o democrazie autoritarie o democrature) è indiscutibile. I dati della Freedom House (Ong che si occupa di libertà e diritti) indicano che i regimi liberi nel mondo sono passati dal 46 al 20%, quelli autoritari dal 36 al 39%. Poi ci sono le zone grigie dove il governo rappresentativo è pura parvenza. È un dato irrefutabile: i valori su cui si regge la democrazia liberale sono in regressione, mentre avanzano i regimi autoritari che oggi si presentano come inquietanti alternative alla democrazia liberale.
Perché questo incipit? Perché oggi tutti discutono della guerra in Ucraina: imperversano i professori di strategia militare e di geopolitica e i generali in pensione hanno un’inaspettata popolarità. La guerra è diventata lo spettacolo quotidiano dei talk show dove ci vogliono pure gli orsiniani, non perché dicano cose particolarmente intelligenti, ma perché fanno spettacolo: è il prezzo della libertà di espressione che inevitabilmente sdogana anche le sciocchezze.
Sono in tanti a predicare la fine della guerra e a invitare gli ucraini alla resa incondizionata, non perché amano la pace ma perché non vogliono avere fastidi (il 30% dei nostri concittadini la pensa così). Constato pure che una cospicua schiera dichiara di sostenere i valori democratici, ma solo fintanto che ciò non comporti sacrifici e privazioni e disagi troppo vistosi.
Noi siamo facili alla distrazione, ma al di là delle diverse opinioni sulla natura del conflitto, una cosa non può essere smentita: le sofferenze dell’Ucraina sono le sofferenze della democrazia liberale, l’aggressione all’Ucraina è l’aggressione alla democrazia liberale. L’ha pure detto Putin che la democrazia liberale deve essere abbattuta perché rappresenta un pericolo mortale per la sua concezione del mondo: il seme che corrompe è bene tenerlo lontano dal popolo russo. La pensano così anche i nostri criptoputiniani, che si scagliano contro gli Stati Uniti che ci usano per perseguire i loro interessi che non sono i nostri. D’accordo, ma di quali interessi parliamo? Gli Stati Uniti hanno cumulato errori e fatto cose poco edificanti e qualche menzogna di troppo ha oscurato la loro politica. Ma una cosa in comune l’abbiamo: gli Stati Uniti sono la sola potenza mondiale che si riconosce nei nostri stessi valori umani, sociali, politici (copyright: Ernesto Galli della Loggia). E non dimentico il 6 giugno 1944: senza di loro (gli americani e loro alleati sopravvissuti e quelli massacrati sulle spiagge di Omaha e Juno), noi oggi forse dovremmo fare i conti con il passo dell’oca e l’inno ‘Die Fahne hoch’ ci sarebbe famigliare. Quindi critichiamo aspramente gli Stati Uniti e bacchettiamo gli eccessi di fervore atlantista, ma ammettiamo perlomeno che in comune, noi e loro, abbiamo alcuni principi di democrazia e libertà: sono magari disattesi, ma ci sono. E scusate se è poco. Quindi condanniamo la guerra e mettiamola al bando. Ma la guerra c’è e c’è chi la fa e chi la subisce. Questo è un dato di fatto. Allo stato attuale è difficile parlare di pace senza partire dal suo opposto, la guerra. Certo, anche Putin la sua pace la vuole, ma sulle macerie della sopraffazione e dell’annientamento dello Stato di diritto.
Coloro che parlano della guerra "degli altri", e predicano la "resa incondizionata in nome della pace", mi pare stiano rinnegando il passato dell’Europa e il prezzo pagato da coloro che per i valori di libertà e democrazia hanno combattuto e sono morti. Gli ucraini combattono per la loro terra e si rifiutano di sottomettersi all’aggressore: lo fanno per loro, ma pure per noi. Per questo trovo insopportabili quei personaggi che scelleratamente dichiarano che il nostro sistema politico conculca tutte le libertà, mentre Putin vuole la libertà della Russia. Per questi signori, noi occidentali abbiamo solo colpe da riparare e nessun valore da proporre (esattamente ciò che ha ripetuto Putin nella famosa intervista al ‘Financial Times’ del giugno 2019: tutelare i diritti civili è una cattiva abitudine!). Un simile atteggiamento, assai diffuso, rappresenta la dissoluzione della memoria e la solennizzazione dell’ignoranza storica.
Non si rendono conto, questi signori, che la democrazia dei diritti è una conquista pagata a caro prezzo. Non si rendono conto, questi signori, che la democrazia deve essere conquistata giorno dopo giorno, è un cantiere sempre aperto, è un divenire e non un traguardo. Quindi è nostro dovere di cittadini attivi distinguere, denunciare ciò che toglie dignità e centralità alla democrazia liberale, ma evitiamo di offuscare le buone ragioni con il condimento dell’imbecillità faziosa.