laR+ la trave nell’occhio

Ucraina: no, sì, ma, però…

Checché ne dicano i ‘complessisti’, i se e i ma mi suonano stonati quando sono in ballo i valori del nostro ordinamento liberaldemocratico

(Ti-Press)

Attorno alla guerra si discute. Tutti ammettono l’aggressione e l’atroce massacro ordinato da Putin, ma poi non mancano le precisazioni e qualche giustificazione di troppo. Mai come in questo periodo abbondano le congiunzioni avversative, i ma e i però, i nondimeno e i ciò nonostante: perché – dicono alcuni – la complessità vieta le posizioni nette. C’è il desiderio sacrosanto di esercitare lo spirito critico e di verificare la verità dei fatti, ma c’è anche tanta ipocrisia in circolazione; c’è paura e desiderio di dare il proprio appoggio agli ucraini, ma che la guerra tenga conto della geografia e resti lontana da noi. Talvolta si scopre un sospetto parallelismo fra i No Vax di ieri e i filoputinisti occulti e poi c’è l’immenso serbatoio dei luminari narcisisti, che pur di distinguersi non esitano a pronunciare sentenze assurde. Su alcuni temi mi sono confrontato e ho detto la mia, senza se e senza ma. Mi hanno accusato di semplicismo. Io insisto: quando sono in ballo i valori del nostro ordinamento liberaldemocratico, i se e i ma mi suonano stonati. Io la penso così.

Sul diritto di resistenza

Qualche discussione è sorta intorno al rapporto fra democrazia liberale e diritto di resistenza: è stupefacente che qualcuno non ne riconosca ancora il legame indissolubile e necessario. L’ordinamento liberaldemocratico ha in un certo senso istituzionalizzato il diritto di resistenza attraverso le varie forme di controllo dei cittadini sulla gestione del processo decisionale. Insomma: più che un regime politico la democrazia è un processo che promuove l’"uso pubblico della ragione" e la dissidenza è parte essenziale del sistema. La resistenza diventa un diritto-dovere quando delle leggi materiali dovessero offendere i diritti costituzionali di libertà, uguaglianza e solidarietà. Vale anche nel rapporto fra gli Stati: negare agli ucraini il diritto di difendersi, anche con le armi, significa misconoscere l’essenza stessa della democrazia liberale.

Lo fa purtroppo il filosofo che dichiara che prima di dare armi agli ucraini bisogna aprire un ampio dibattito pubblico perché la democrazia ha bisogno del consenso popolare (e intanto i tagliagole ceceni danzano sui morti); lo fa lo scrittore che dichiara che l’Europa, patria della filosofia, deve coltivare il dubbio e guai a chi si schiera; e poi c’è il sociologo che si lascia scappare un "chi se ne frega dell’autodeterminazione dei popoli" e invita gli ucraini alla resa incondizionata, altrimenti c’è l’arma nucleare. Come a dire: la pavidità umana è sempre sottostimata e il cursus studiorum non vale a scongiurarla. E le libertà a fondamento della democrazia non meritano un linguaggio forte e assertivo? Per i "complessisti" (che concepiscono il dubbio come un fine), no. Pazienza: si può derogare perché è meglio restar vivi, noi.

Sul pacifismo

Rispetto i pacifisti ideologi e per convinzione. Ma colgo qualche incongruenza nel loro procedere:

1) la diplomazia non è, come si pretende, un’alternativa alle armi: chiedere agli ucraini la resa incondizionata perché poi ci pensa la diplomazia significa consegnarli a chi non negozia, ma impone. Putin l’ha messo in chiaro con un paio di missili caduti nei paraggi del segretario dell’Onu: ai negoziati non ci pensa proprio e il nuovo ordine mondiale lo farà lui. Quindi i diplomatici si diano da fare per troncare l’abominevole spettacolo: nel frattempo le armi servono per evitare il peggio;

2) i pacifisti si comportano come se la responsabilità dei fallimenti negoziali fosse tutta colpa dell’Occidente e della Nato, e sugli striscioni il guerrafondaio è Biden e non Putin; c’è qualcosa che non torna e sospetto che si confonda la reazione con l’azione;

3) si dà la colpa di tutti i guai agli Stati Uniti: forse sarebbe opportuno ponderare, considerare l’inerzia europea e domandarsi dove arriverebbe o sarebbe arrivato Putin senza di loro.

Non coltivo particolare considerazione per la crescente schiera dei pacifisti per convenienza, quelli del quieto vivere, quelli che parlano di pace ma pensano al gas, al Pil e niente sacrifici per favore. Fra di loro parecchi No Vax, ora tifosi inconfessati di Putin perché conta l’opposizione al sistema: esaurito il Covid tocca alla Nato, agli americani, alla democrazia corrotta. Ne ho ascoltati alcuni: l’Occidente è marcio – proclamano – ma non sono disposti a traslocare dall’altra parte.

Sul nucleare

Abbiamo goduto di un periodo lunghissimo di pace in Europa. Non perché l’umanità sia rinsavita, ma perché ha avuto paura: ha funzionato l’equilibrio del terrore. Ora sono in tanti che invocano la fine immediata della guerra, e niente armi agli aggrediti, perché Putin minaccia la ritorsione nucleare, alza la voce e ci dice che "la paura della mutua distruzione assicurata" non vale più: lui, magari, il bottone lo pigia. Quindi deponiamo le armi, e accettiamo che l’effetto secondario sia un popolo massacrato e fatto a pezzi. Conclusione: per questa folta schiera di persone (si stima attorno al 20/25% degli europei) il nucleare da elemento di deterrenza che impedisce la guerra diventa garanzia di impunità per chi aggredisce.

Sulla neutralità

La visita di una delegazione parlamentare svizzera non è stata gradita da alcuni deputati: secondo loro andare in Ucraina vuol dire violare la neutralità. Due parole sul tema. Neutralità non significa chiamarsi fuori, mettersi in disparte. La Svizzera è parte integrante dell’Occidente democratico: predicare l’equidistanza fra democrazia e antidemocrazia, fra libertà e tirannia, fra società aperta e società chiusa è una bestemmia inammissibile e induce a comportamenti piuttosto meschini e a ragionamenti politici riprovevoli. Quando a essere umiliati sono i diritti umani e i principi cardine del diritto internazionale è un dovere per tutti, per i Paesi neutrali pure, prendere posizione. Già Edgar Bonjour raccomandava di rivedere il concetto di neutralità: suggeriva di passare dall’immobilismo indotto dalla tradizione alla promozione della solidarietà e della disponibilità attive.