L’ennesimo ‘scoop’ sull’ex Macello scatena la solita retorica indignata contro i ‘brozzoni’. Ormai il giochino lo conosciamo
"Un senso di ribrezzo" per "un simile degrado", "un pugno nello stomaco", "una cultura che aveva toccato il fondo". Sono bastate alcune foto del disordine e della sporcizia all’interno dell’ex Macello – scattate dalla polizia al momento dello sgombero – per far fischiare le sirene dell’indignazione, a Muzzano come altrove.
Certo, non è un bel vedere: vestiti ovunque, lattine vuote, rifiuti assortiti. Qualcuno ha perfino dimenticato alzata la tavoletta del water, signora mia. Ma perché quelle immagini diventano materiale da prima pagina, ragioni per portarsi al naso il fazzoletto di batista con gesto disgustato, esalando tra gli effluvi di lavanda l’ennesimo "che roba, contessa"? Dopotutto si sapeva da tempo della precarietà in cui vivevano alcuni dei molinari, se ne conosceva il disagio aggravato da una sistemazione precaria e poco idonea. Né quelle immagini aggiungono granché all’idea che ciascuno di noi si sarà fatto circa quella notte di un anno fa, quando le ruspe tirarono giù tutto: non avere il letto rifatto e le tendine a fiori non è comunque ritenuto un buon motivo per una demolizione non autorizzata, almeno finora.
Probabilmente lo scopo dell’esercizio è un altro: riattizzare alla bell’e meglio l’indignazione verso i molinari, insinuare che quelle persone lì sono diverse da noi, che ‘la gente perbene’ non vive così, perdincibacco, non ‘in un Paese civile’ (a questo punto storcete verso il basso l’angolo della bocca, alzate il nasino e sollevate un sopracciglio, a segnalare tutto il vostro sdegno). A certi media, poi, queste imbeccate fanno sempre comodo: attirano clic e permettono di riasserire la propria presunta autorevolezza a costo zero, solo impostando la propria voce su toni garruli da malevole merlettaie. La politica più reazionaria ringrazia commossa, specie ora che le urne si avvicinano ancora una volta. In passato, i bioritmi della questione Molino hanno sempre seguito da vicino quelli del calendario elettorale.
Che il trucco funzioni, non c’è dubbio: poche ore dopo lo ‘scoop’, le reazioni sui social spaziavano già da "sarebbe ora di radere al suolo tutto" – ma non l’avevano già fatto? – a "merde schifose, lozzoni senza dignità". C’è chi nota che "un errore imperdonabile le autorità l’hanno fatto: farli uscire prima di demolire", e chi invece con quegli "animali" suggerisce di usare "un bel lanciafiamme". Ci son saltati subito sopra anche i soliti noti, a partire dal municipale alla Socialità di Lugano Lorenzo Quadri (meno male, sennò stavamo in pensiero). "Qualcuno ha ancora il coraggio di contestare la definizione di ‘brozzoni’?", chiede retoricamente ai suoi follower, che superano subito il caro leader nella virulenza delle loro invettive.
Questo ennesimo fuoco fatuo durerà come sempre un paio di giorni. Giusto il tempo per "sgranchirsi la morale", per "puntare il dito e darsi di gomito tra noi pochi perbene", per dirla con le parole che il giornalista Matteo Bordone ha dedicato alle ‘shitstorm’ sui social. Il diversivo servirà ancora una volta a ritardare un bilancio serio sull’atto di forza di un anno fa, a relativizzarne le responsabilità politiche, a "mettere una pietra sopra questo capitolo della storia luganese decisamente da dimenticare", come auspicano alcuni osservatori nella speranza che siamo tutti Dory, la pesciolina smemorata amica di Nemo. "Zitto e nuota".