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Le avanguardie cullate, la culla delle avanguardie

Una riflessione a margine delle mostre locarnesi entrambe al femminile appena conclusesi a Casorella e al Castello Visconteo

Museo Casorella, Locarno
(Ti-Press)
28 maggio 2022
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Sempre più istituzioni culturali sono curate da donne, favorendo la riqualifica del ruolo femminile sulle avanguardie del 900 e indirizzando nuove generazioni di artiste. Il Kunstmuseum Basel aprirà in autunno ‘Fun Feminism’, ispirato dal saggio dell’attivista americana bell hooks ‘Il femminismo è per tutti’. Ci si riferisce alla giocosa accessibilità dell’estetica femminista, che ponendosi al di fuori dal contesto normativo patriarcale è inclusiva di tutte le minoranze. Per sfuggire ai dettami di mercato che costringono artisti e produzione artistica in rigidi corsetti ideologici, razziali o di genere per trasformarli in prodotti, l’arte femminista propone modelli comunitari e inclusivi fluidi. In un immenso progetto collaborativo, alla 59 Biennale Arte di Venezia ‘The Milk of Dreams’, artisti a predominanza femminile e non binaria, propongono un cambiamento della definizione di umanità. In tempi di pandemia, cambiamento climatico e guerra, la vulnerabilità del corpo si contrappone alla promessa d’infallibilità tecnologica, assottigliando la delimitazione tra umano e robotico. Relegati dietro a schermi, navighiamo tra possibilità intellettuale e impossibilità sociale di ritrovare la dimensione corporea in un mondo naturale che si sgretola. La curatrice Cecilia Alemani trae il titolo da ‘Il Latte dei Sogni’, raccolta di filastrocche popolate da creature ibride con le quali la surrealista inglese Leonora Carrington cullava nel sonno i figli durante l’esilio in Messico. L’artista e altri esponenti delle avanguardie, molti come lei sfuggiti agli orrori della guerra, formano la trama curatoriale della Biennale, intessuta tra i Giardini e l’Arsenale conducendoci alla Fondazione Peggy Guggenheim, dove Surrealismo e Magia ci riporta alla capacità d’incantamento e di metamorfosi dell’arte. Come un secolo fa al Monte Verità, la riforma sociale parte dalle mammelle di un pensiero matriarcale.

Anche Locarno dà letteralmente ‘Spazio alle Donne!’, per citare la mostra appena conclusasi a Casorella e al Castello Visconteo. La Città si pone l’obiettivo di contrastare la disparità di genere anche nel mondo dell’arte, aprendo gli spazi di Casa Rusca a due artiste: la ticinese d’adozione di origine argentina Gabriela Spector e la street artist afghana residente nei Paesi Bassi Malina Suliman. Entrambe incentrano il loro lavoro sul corpo, in Spector ci parla della condizione umana, Suliman ne fa strumento di protesta. Promuovendo questa scelta, la Municipale Nancy Lunghi dimostra l’intento di riunire i suoi Dicasteri cultura socialità e giovani in un discorso inclusivo. Il potenziale è enorme, come il rischio di limitare la cultura a un effetto collaterale. Burka e Burkini hanno occupato il dibattito politico dello scorso anno, la mostra alla pinacoteca non aggiunge nuovi spunti di riflessione. Il tema del patriarcato afghano si prestava però a una discussione estesa alle nostre origini rurali e alla condizione femminile nel nostro cantone: lontana dal privilegio che nell’opera Desideri di un occidentale/desideri di un afghano, Suliman dà per scontato. Sempre in un discorso comparativo, l’artista pone a confronto l’abbigliamento succinto della donna libera al velo integrale della donna oppressa. Non ci rivela però nulla sull’identità femminile dietro agli abbozzati costumi "occidentali" ritagliati da turbanti maschili e, quelli etnici simboleggiati da scampoli di tessili tradizionali che usa come tela per graffiti, riproponendo così gli stereotipi che vorrebbe abbattere. Gli artefatti, i murales, gli interventi multimediali e i testi che li accompagnano, invitano alla lettura lineare di un unico argomento. La street artist alle prime esperienze espositive necessitava di un concetto curatoriale che l’accompagnasse nell’approfondimento dei temi proposti. Fermandosi ai luoghi comuni di un Afghanistan come lo percepiamo in occidente, manca al visitatore un nuovo punto di vista su una cultura ancestrale che nel ventennio di stazionamento americano, secondo l’indice del Wef ha chiuso il divario di genere al 44%, per ritrovarsi lo scorso agosto improvvisamente proiettato nel medioevo. L’arte acerba di Malina Suliman non riempie questo vuoto.

Il Locarnese è stato la culla delle avanguardie del 900, un patrimonio dal potenziale di sviluppo e grande responsabilità. Nell’entusiasmo di proporre un evento "spettacolare" e un messaggio "forte" come si legge sull’invito alla mostra e nell’introduzione al catalogo, si offre un "prodotto" di rapido consumo più vicino a Banksy che al Monte Verità. Il commento sociale nell’arte contemporanea è imprescindibile, spogliato dalle sfumature di un pensiero critico storico scade però nel manifesto politico. Nella cultura istituzionale, il passo verso la strumentalizzazione politica della cultura è breve.