La storia insegna che esistono guerre un po’ più giuste di altre: per esempio il diritto di un popolo di opporsi alla brutale aggressione di un invasore
Lo stridìo dei cingolati. L’ululato lugubre delle sirene. Il tonfo sordo dei cannoni. Il fragore lacerante delle bombe cluster: proibite, ma per i generali russi non conta e seminano morte tutt’intorno. Il crepitio degli incendi. Le città devastate. Scuole, asili, ospedali distrutti: medici, infermiere, e bambini sotto le macerie. Il sangue dei civili sulle strade. E la disperazione di chi fugge e non capisce. I russi coraggiosi nelle piazze di S. Pietroburgo e Mosca che denunciano la follia del Cremlino: a migliaia sono arrestati e anche l’anziana signora che visse gli orrori della Stalingrado assediata non merita rispetto. Pure la parola è censurata: "guerra", "aggressione", "invasione", "vittime civili" non fanno parte del neolinguaggio putiniano e per chi osa è previsto il carcere.
È la follia di Putin: la Russia del futuro deve camminare indietro, ricostruire l’Urss o forse l’Impero degli zar. William Faulkner lo disse: "Il passato non muore mai. E non è neanche passato". Per Putin il passato è una meta e Hitler può essere un esempio. Chamberlain e Daladier nel 1938 promisero di proteggere la Cecoslovacchia ma non lo fecero e l’accordo di Monaco fu il fatale errore delle democrazie: consegnarono a Hitler i Sudetendeutsche cecoslovacchi in nome del principio della pace duratura. Poi si sa come andò a finire. "Hanno scelto il disonore", dichiarò Churchill. Vale la pena di non dimenticare. Qualche volta la storia si ripete.
Allibito, ho ascoltato il pensoso filosofo (che riscuote puntuale la diaria nel salotto buono di un canale televisivo) dichiarare che fosse inopportuno schierarsi subito da una parte o dall’altra in questa guerra perché non esiste il bianco o il nero, ma una zona grigia dove si mescolano buone ragioni e cattivi propositi. Prima di condannare definitivamente il deprecabile comportamento di Putin – affermava– è bene soffermarsi sulle nostre colpe, sui gravi torti della Nato, sui limiti dell’Unione Europea, e forse l’autocrate di Mosca ha alcune attenuanti e qualche ragione. Al netto della buona fede, mi pare che la proposta sostenuta dall’esperto in preda a convulsioni narcisiste, di adottare un "juste milieu", contro il "criminale del Cremlino" (il giudizio di merito è mio), nasconda una discreta pusillanimità e tanta mediocrità.
Un po’ ovunque, in Occidente e altrove, si moltiplicano le manifestazioni contro l’aggressione: condivido e sono fra i fautori della protesta forte e instancabile. Ma mi disturba uno slogan ricorrente: leggo su qualche striscione "No a Putin No alla Nato". Mi ricorda un altro slogan ricorrente, anni Settanta dello scorso secolo, quando le Brigate rosse e la Rote Armee Fraktion ammazzavano e sequestravano: "Né con lo Stato né con le Brigate rosse". Era un invito a chiamarsi fuori, a non schierarsi, a non essere partigiani. Perché i terroristi – si sosteneva – uccidevano e sequestravano ma lo Stato opprimeva: due tipi di violenza, entrambi deprecabili. Oggi i pacifisti fino in fondo ci dicono che non esistono guerre giuste perché tutte sono sbagliate. Capisco, ma la storia mi insegna che esistono guerre un po’ più giuste di altre. Esiste, per esempio, il diritto di resistenza, il diritto di un popolo di opporsi alla brutale aggressione di un invasore: con la parola e la diplomazia fin che si può, con le armi quando ogni altro strumento è negato. In Ucraina la follia criminale di Putin, narcisista perverso – che all’autoreferenzialità esclusiva aggiunge una dose massiccia di aggressività e sadismo – non mi pare offrire alternative.
L’aggressione dell’Ucraina in realtà significa l’aggressione a un popolo ma allo stesso tempo è il cozzo fra due sistemi politici incompatibili, il nostro e quello proposto da Putin: da una parte le democrazie liberali e dall’altra le cosiddette democrazie illiberali. Putin ne è il teorico e supremo artefice. Democrazia illiberale: un ossimoro, un accostamento incompatibile fra due termini perché – lo ripeté fino alla nausea Norberto Bobbio – non c’è democrazia senza libertà e non c’è libertà senza democrazia: e infatti lo Stato liberale e lo Stato democratico, quando cadono, cadono insieme. Un politologo stracitato ha dichiarato qualche anno fa "la fine della storia" perché dopo la caduta di fascismi e comunismo l’idea liberaldemocratica era destinata a conquistare il mondo. Putin ci dice di no, ci dice che c’è il suo modello di stato autocratico, ossia l’Etat c’est moi: lo zar detiene tutto il potere e gli altri sono sudditi. Chi invoca l’equidistanza nella cruenta contesa in corso, chi rifiuta la scelta partigiana e la motiva con mille distinguo – io non ho dubbi – si rende colpevolmente complice. Quindi gli ucraini debbono essere difesi perché la democrazia liberale (con i suo valori) deve essere difesa con i denti e con le unghie contro le aggressioni liberticide.
Chi invoca la resa incondizionata degli ucraini, perché "armare i civili serve solo a prolungare la carneficina e tanto l’esercito russo vincerà ed è meglio farla finita", è come se sputasse su coloro che aiutavano i moti risorgimentali in Italia contro il dominio austriaco, è come se sputasse contro coloro (parecchi i ticinesi) che andavano a combattere per i repubblicani contro lo strapotere franchista, è come se rinnegasse le guerriglie partigiane contro il nazifascismo, è come se ripudiasse tutte le guerre di liberazione passate e future.
Quindi privilegiamo la diplomazia ma aiutiamo in ogni modo gli ucraini a resistere. Lo storico Paolo Mieli avvertiva sul Corriere della Sera, e concordo, che un conto è "poter intavolare una contrattazione tra i carnefici di Putin e un popolo che può ancora disporre di forze combattenti, altra cosa sarebbe un negoziato con gli ucraini prostrati, in balia dei loro aguzzini". Facciamo pure tutte le distinzioni del caso, ma intanto prendiamo posizione ed evitiamo la pusillanimità di chi invoca la pace subito, costi quel che costi, anche a prezzo dell’annientamento rapido di un popolo che vuole resistere e reclama la sua sovranità. Non dimentichiamo che oggi ad essere trucidati e martoriati non sono solo le vite e i diritti degli ucraini: le bombe di Putin vogliono distruggere i fondamenti stessi su cui si regge il nostro sistema politico.
E noi svizzeri e la nostra neutralità? Riprenderò il tema. Per ora ai fautori del "restar fuori" consiglierei di ripassare la dottrina: dal 1815 la neutralità si regge sul consenso internazionale, è mutata e muta nel tempo e oggi sarebbe poco credibile se escludesse una forte presa di posizione nei confronti di chi viola i diritti umani.
La Svizzera neutrale deve essere parte attiva in Europa e non un passeggero che sta alla finestra in attesa che gli altri facciano. Essere neutrali non vuol dire astenersi. Ce lo dice l’ambasciatore svizzero a Kiev: "Une bêtise humaine" quella di Putin.