Estrema destra e potere russo hanno di fatto comuni nemici: l’Unione europea, la democrazia, l’immigrazione, la libertà di stampa e di parola
Che un’overdose di spremute ideologiche induca qualche militante sulla sinistra ad accendere un cero sotto la gigantografia di Vladimir Putin, non è in fondo sorprendente. Una lettura della realtà condizionata da fanatismo partigiano o la nostalgia dei bei tempi in cui i carrarmati schiacciavano rivolte a Budapest o Praga, porta a celebrare l’autocrate in un tripudio di irrefrenabile esaltazione antioccidentale. Poco importa che il leader del Cremlino abbia da tempo stracciato la sua tessera di partito (comunista). Più sorprendente, ma solo a prima vista, può apparire l’aperta attrazione che le sirene putiniane esercitano nelle file dell’estrema destra. Infatuazione o amore corrisposti: Putin abbandona il grottesco tavolo dalle distanze siderali con il quale aveva accolto Macron e Scholz per abbracciare, sedia contro sedia, il mussoliniano Bolsonaro. Nulla di veramente inedito: ficcate nella memoria dei militanti dell’austriaca Fpö le immagini che ritraggono il leader del Cremlino ospite d’onore al matrimonio di Karin Kneissl esibirsi in una polca con la loro ministra degli esteri. L’anno precedente era stata la francese Marine Le Pen a farsi ritrarre, in piena campagna elettorale, accanto al leader russo. “Io sto con Putin” si poteva leggere sulla T-shirt di Matteo Salvini in una celebre istantanea che ritrae il leader leghista sulla Piazza Rossa nel 2015. Indagato per i presunti fondi russi alla Lega Nord è il braccio destro di Salvini Gianluca Savoini, fondatore dell’associazione Lombardia-Russia. Potremmo continuare a lungo, citando i legami tra Mosca e i neonazisti greci di Alba Dorata o quelli bulgari di Ataka. Ma anche l’ammirazione malcelata di Steve Bannon, capostipite dei sovranisti e suprematisti bianchi dell’Alt-Right nonché nazional-svalvolato consigliere di Donald Trump, per il modello russo articolato attorno alla triade “una patria, un’etnia, una lingua”. Ancora più estremista del butterato Rasputin in chiave Usa, il negazionista antisemita francese Alain Soral, che ondeggia tra nazismo e Gilets Jaunes, vede in Putin un alleato politico contro il multiculturalismo che trascinerebbe l’Occidente nella decadenza. Proprio lui, Soral, che fu ospite qualche anno fa del miliardario oligarca putiniano Konstantin Malofeev, finanziatore della guerra nel Donbass. Nelle cerchie più ravvicinate del leader del Cremlino svetta senza ombra di dubbio Aleksandr Dugin, anticomunista e anticapitalista, fondatore del Partito Nazional-Bolscevico, seguace del filosofo fascista Julius Evola, da cui trae ispirazione pure... Bannon. I due visir di Putin e Trump condividono una visione del mondo ben definita. Dugin (che nel 2019 fu invitato a Lugano da un noto ex deputato Udc attratto da varia paccottiglia neonazista) caldeggia la difesa di una stirpe e una cultura per fronteggiare in particolare la Cina e “quel fiume di sperma che cambia improvvisamente di letto e cola verso occidente” secondo l’espressione di uno dei mentori del sovranismo, lo scrittore francese Jean Raspail. Estrema destra e potere russo hanno di fatto comuni nemici: l’Unione europea (colpita da ripetuti sabotaggi), la democrazia, l’immigrazione, la libertà di stampa e di parola, i diritti umani. Il loro modello, con le diverse sfumature, incarna nell’uomo forte quel potere a base nazional-razziale che già hanno esercitato a modo loro Putin e i suoi amici tra cui Orbán, Bolsonaro o Trump.