Merito delle decisioni ‘tecniche’, ma soprattutto della pressione del moto civile a sostegno di una famiglia di sans papier
Capita ancora, come nelle favole. A volte succede, in effetti, che finisca bene. E non è certo scontato scrivere un lieto fine, soprattutto in una storia di migrazione. Per India e la sua famiglia, invece, si è avverato. Oggi sanno di poter contare su un permesso di dimora: sono stati classificati come un ‘caso di rigore’. La legge (quella sull’asilo) ha quindi potuto essere applicata, e alla lettera. Certo per farlo c’è voluto un decennio: dieci anni trascorsi in attesa; sperando e disperando di riuscire a conquistare il diritto di restare. Alla fine però queste persone – perché “sono persone”, come ci si è ricordati di recente anche sui banchi della Lega in Gran Consiglio – ce l’hanno fatta. E non si può dire che i riflettori accesi dai media non abbiano giocato un ruolo nelle scelte della politica (al di là del fatto che si possa archiviare la decisione come ‘tecnica’ o amministrativa). Una cosa è sicura, il preavviso dell’Ufficio della migrazione (a livello cantonale) prima, e il nullaosta calato da Berna dalla Segreteria di Stato della migrazione poi (il 4 febbraio scorso), nel giro di pochi giorni hanno cambiato la vita e riscritto il futuro della diciannovenne studentessa di origine africana, di sua madre Munaja e del fratello maggiore Nur.
Per una famiglia che per anni ha vissuto con la valigia in mano (sino ad approdare a Morbio Inferiore), senza poter decidere nulla della sua esistenza (neppure di potersi spostare da un comune all’altro senza un’autorizzazione) e con la paura di dover lasciare la Svizzera in ogni momento, è una svolta senza precedenti. Una svolta alla quale l’affetto di docenti, compagni di scuola e amici ha contribuito a imprimere la giusta direzione. Tutte queste persone, in effetti, non si sono voltate dall’altra parte. Che sia per vocazione (quella propria a un maestro di scuola), per coscienza o spinta solidale, loro si sono lasciate coinvolgere. E alla fine sono riuscite a trascinare tanti altri cittadini – inclusi associazioni, istituzioni comunali, enti religiosi (a cominciare dal vescovo di Lugano), esponenti politici, quasi un intero parlamento –, come mai era successo in passato.
Di fatto, si è dovuto fare pressione per permettere a India e ai suoi familiari di non sentirsi più dei sans papier “tollerati”. Perché tali, come si è fatto capire a chiare lettere dal Cantone, sono le persone senza documenti. Del resto, la strategia migratoria di un Paese è frutto di precisi orientamenti politici. Nessuno mette in dubbio che l’intervento dell’Ufficio della migrazione sia stato decisivo per orientare la Sem, certo è che il moto civile suscitato dalla storia di India come un’onda ha spostato, per finire, pure l’attitudine del Dipartimento delle istituzioni retto da Norman Gobbi. Un cambio di passo inatteso per i più a fronte della posizione ‘granitica’ della Lega sul nodo migratorio. Ma forse è difficile resistere a una mobilitazione (e a una visibilità) tanto ampia: in taluni casi spiegare certe scelte può rivelarsi scomodo.
Si sa, vox populi vox Dei. Ma che ne sarà di quei sans papier che vivono nell’ombra e non hanno nessuno pronto ad accendere su di loro i riflettori?