Lo ha confermato l’Ufficio della migrazione data l’integrazione della giovane. Gobbi critico sulle polemiche politiche che hanno investito il caso
L’Ufficio della migrazione ticinese sostiene il caso di rigore che potrebbe permettere alla giovane India di rimanere sul nostro territorio. Ad annunciarlo oggi è stata Norman Gobbi. «La giurisprudenza indica che soprattutto per i figli (di migranti, ndr) il fatto di aver passato una parte preponderante della propria adolescenza in Svizzera impone una riflessione sulla proporzionalità dell’obbligo di rientro» in patria, ha osservato Gada. «In base a questo, e confermando anche il fatto che si tratta di persone socialmente integrate, che parlano la nostra lingua e si sono date da fare a livello di formazione e di ricerca di un’attività, abbiamo ritenuto giustificato l’invio alla Sem di un preavviso favorevole» al caso di rigore, ovvero alla richiesta di eccezione che rovescerebbe la decisione negativa già passata in giudicato. Ora starà alla Segreteria di Stato della migrazione (Sem, appunto) prendere la sua decisione, ma è chiaro che il preavviso cantonale potrebbe spianare diversi ostacoli: quando è favorevole, ‘salva’ dal rimpatrio il 70% delle persone.
Però la conferenza stampa indetta alle Orsoline non è servita solo a ufficializzare il sostegno del Di a India, la diciannovenne proveniente dalla fascia di confine tra Etiopia ed Eritrea che da dieci anni attende un permesso di soggiorno, dopo aver messo radici in Ticino vivendo tra Biasca, Cadro e Morbio Inferiore (per Berna il rimpatrio non metterebbe a rischio l’incolumità degli interessati, nonostante l’instabilità dell’area). È stata anche l’occasione per togliersi alcuni sassolini dalla scarpa dopo che il caso ha molto occupato la politica, con un’interrogazione socialista a chiedere ragione della presunta discrepanza tra il numero di casi di rigore sostenuti dal Ticino, ritenuto troppo basso, e quelli caldeggiati dagli altri cantoni.
Gada ha invitato a non fare confusione tra i casi di rigore riguardanti i permessi negati ai cosiddetti sans papiers (come India) e quelli presentati invece per la commutazione di un permesso F già concesso in un permesso B: fattispecie diverse e governate da leggi diverse, le cui statistiche dipenderebbero peraltro da molte variabili locali che inciderebbero direttamente sul numero di richieste presentate da individui e famiglie (richieste senza le quali non si apre alcun ‘caso’). Quel numero risulterebbe spesso più basso in Ticino che altrove anche perché il Cantone – in cambio del suo impegno ‘di frontiera’ nella prima accoglienza ai migranti – si vede poi assegnata una quota minore di potenziali rifugiati, anche rispetto a cantoni meno popolosi.
Gobbi ha dunque chiosato che «si è messo insieme il burro con la ferrovia» e «preso fischi per fiaschi», e ha tratto spunto dalla vicenda per respingere le accuse di chi lo vede come ‘poliziotto cattivo’ della politica d’asilo ticinese: «Nel 96% dei casi le richieste di caso di rigore presentate da chi dovrebbe lasciare il territorio vengono preavvisate favorevolmente, segno che non c’è un presupposto politico da parte di chicchessia volto a influenzare queste decisioni», approccio che in questo caso riterrebbe semmai da imputarsi allo stesso Gran Consiglio (oltre all’interrogazione già menzionata, una risoluzione interpartitica ha invocato il dibattito sul caso di India con clausola d’urgenza già alla seduta del legislativo del 24 gennaio).
Il direttore del Di ha d’altronde ribadito la necessità per l’Ufficio delle migrazioni di esercitare il suo ruolo critico su tutte le pratiche (l’interrogazione proponeva invece di mettere la responsabilità dei preavvisi in mano al Consiglio di Stato in corpore). «I casi di rigore non sono tutti uguali e cambiano nel tempo», ha aggiunto, e restano comunque vincolati alla legge federale: quella sull’asilo, nei casi come quello di India ancora in attesa di un permesso definitivo (normalmente, dopo tutto questo tempo, un B), e quella sugli stranieri per chi chiede di passare da un permesso F già concesso al B (con un preavviso cantonale comunque favorevole nel 73% dei casi). Ed è proprio la legge a escludere un diritto automatico al rilascio di un permesso e a imporre una puntigliosa disamina della situazione familiare e finanziaria, della durata e stabilità del soggiorno in Svizzera, delle competenze linguistiche, dello stato di salute, della possibilità di reinserimento nel Paese d’origine, dell’effettivo rispetto dell’ordine pubblico e così via. Anche in caso di preavviso favorevole, ha notato Gada, c’è comunque il rischio che la Sem dica di no, magari quando «sceglie di dar più peso a fattori quali la possibilità di rimpatrio rispetto all’integrazione in Svizzera». In caso di ulteriore ricorso si finirebbe poi nuovamente davanti al Tribunale amministrativo federale.
Spesso infine – il caso di India è lì a dimostrarlo – le richieste e i relativi ricorsi si prolungano in un limbo della durata di molti anni, durante i quali tutti i parametri presi in considerazione possono variare. Per questo Gobbi ha auspicato che a livello federale si possano «accelerare certi processi, anche per non alimentare false aspettative. D’altronde ritengo che in questo senso si sia già fatto molto con l’ultima revisione della legge sull’asilo, che ha anche potuto garantire la dovuta assistenza giuridica ai richiedenti fin dai loro primi passi».
I ricordi di India sono legati a doppio filo al Ticino. Si può dire che la sua vita sia iniziata qui, quando all’età di nove anni è giunta nel cantone con la sua famiglia. Alle spalle in quel momento si lasciava una striscia di terra fra Etiopia ed Eritrea che nel tempo ha sentito sempre più lontana e che non riconosce più, del resto, lei e i suoi cari come cittadini. Apolide, è infatti nella regione d’adozione che la giovane – oggi diciannovenne e iscritta al Centro professionale e commerciale di Chiasso dopo aver frequentato la scuola dell’obbligo – ha stretto i suoi legami. Nel suo peregrinare con la mamma Munaja e il fratello maggiore Nur, ventiduenne, la ragazza ha vissuto prima a Biasca, poi a Cadro e infine è approdata a Morbio Inferiore. Traslochi forzati che non le hanno impedito di integrarsi nel tessuto sociale e di rafforzare le amicizie.
È alla scuola media di Morbio che India ha trovato, poi, una seconda famiglia, grazie anche all’attenzione dei suoi docenti e all’affetto dei compagni di classe. Insegnanti e alunni che non ci hanno pensato due volte nel 2019 a schierarsi al suo fianco e a mobilitarsi affinché dopo tante porte chiuse in faccia – come richiedente l’asilo e come apolide –, la giovane e i suoi cari – una famiglia unita dopo che il padre si è dissolto nel nulla anni orsono – potessero alfine staccare un permesso di dimora. Un miraggio che, dopo appelli e mobilitazioni a vari livelli, ora potrebbe diventare realtà, così che India possa non essere più una sans papiers.
Nell’attesa di un lieto fine che oggi ci vede più ottimisti, a ben vedere c’è un filo rosso che attraversa la storia di India e che ci porta alla scuola: quella istituzione scolastica che si è dimostrata rifugio, àncora di salvezza e occasione di riscatto per il futuro.