Rossocrociati qualificati ai Mondiali grazie al primo posto di girone. Commovente prova di forza di un gruppo scopertosi molto più forte delle avversità
In Qatar dalla porta principale, accolti con tutti gli onori, come primi della classe a prescindere dalla differenza reti, peraltro debitamente aggiustata. Un trionfo clamoroso. Del resto, indenni a Roma – a tratti pure più prìncipi degli Azzurri – con mezza squadra in infermeria, gagliardi e scatenati a Lucerna, con la squadra se possibile ancor più raffazzonata.
Più forti delle assenze, i rossocrociati. Superiori a una serie di avversità o scherzi del destino che invece di destabilizzare hanno compattato un gruppo scopertosi forse più solidale di quanto si potesse immaginare. Una squadra che nell’appassionante volata testa a testa con l’Italia si è fatta preferire ai campioni d’Europa, retrocedendoli a seconda forza, delle due in campo. Surclassandoli, nel confronto diretto e a distanza. Un’operazione che agli Europei non era riuscito a nessuno, è bene ricordarlo.
Ci sono tutti i crismi dell’impresa, nella conquista della qualificazione diretta della Svizzera di Murat Yakin, il tecnico dalla sopraffina capacità di lettura delle partite. Una qualità che ne ha segnato sin qui il mandato, caratterizzato da un percorso netto, pur condizionato in modo pesante da una serie di imprevisti che non hanno inciso sul risultato finale, la qualificazione a Qatar 2022, il nono grande torneo sui dieci in calendario dal 2004, tra Europei e Mondiali, il quinto Mondiale di fila. Una meta conquistata con idee, qualità, intensità, anche un pizzico d’inventiva, con tanto di lodevole deriva nell’arte dell’arrangiarsi: il ritratto di Yakin, onore al suo merito. Che Svizzera, la tua Svizzera, “Muri”.
L’obiettivo centrato è straordinario, ma non ha nulla di scontato. È pur vero che il concetto un po’ abusato del percorso di crescita avviato anni fa con l’esperto Kuhn, poi affidato a una vecchia e titolata volpe quale è Hitzfeld, perfezionato con la personalità e il carisma di Petkovic e infine consegnato alla sagacia dell’attuale condottiero, un po’ sornione un po’ fine stratega, comporta che una selezione salga i gradini dell’eccellenza, per poi rimanere in alto. Tuttavia non è scontato che questa evenienza si ripeta con regolarità. Ora, non solo la Svizzera andrà al Mondiale, ma lo farà evitando le insidie del doppio spareggio senza appello al quale deve invece ricorrere l’Italia che quattro mesi fa aveva un continente ai suoi piedi e l’ammirazione del mondo.
Promossi, nonostante le avversità. O forse grazie a quelle. Da Nazionale forte e rispettata, capace di mozzare la cresta ai galletti francesi e di spaventare la Spagna fine palleggiatrice, sulla quale riporre fondate speranze di qualificazione, a legione compatta e solidale, molto ben guidata, in grado di esaltarsi nelle difficoltà disseminate lungo il percorso. Una coorte di gregari che si è scoperta non certo catenacciara e minimalista, bensì propositiva e corsara – si pensi al primo tempo di Roma, esemplare per intensità, volume di gioco e occasioni e alla splendida prova di forza di Lucerna –, tanto da tagliare il traguardo in volata ma con ben due lunghezze di vantaggio. Senza nemmeno dover allungare il busto in avanti come fanno i velocisti dell’atletica per guadagnare un centesimo, magari sfruttando il petto gonfio d’orgoglio per un risultato sportivo di grandissima levatura. La differenza l’hanno fatta la qualità, l’intensità, i gol. Il cuore. Sii fiera, Svizzera, ne hai ben donde.