La bocciatura della legge contro l’omofobia è il suo ennesimo errore strategico, figlio di arroganza e incapacità di raggiungere compromessi
Che in Italia serva una legge contro l’omofobia, analoga a quella approvata dal popolo lo scorso anno in Svizzera, è un fatto che le cronache confermano. E in tal senso lo stop al Senato del Ddl Zan è certamente una pagina buia per i diritti e per la laicità dello Stato. Ma sulla bocciatura al voto segreto, con ampie defezioni nella raccogliticcia maggioranza del governo Draghi, chi forse ha più da interrogarsi è proprio la sinistra, che di questa legge aveva fatto una battaglia di civiltà.
Se ne son viste di ogni nei mesi scorsi nel dibattito sul Ddl Zan: di qua anatemi apocalittici sul ‘gender’, che ormai è l’olio di palma della politica, da parte di chi altrove sarebbe una macchietta e in Italia siede in Senato; di là amenità come Zan che paparazza parlamentari leghisti a Mykonos e fa scoprire al mondo l’ovvietà che ci sono anche gay di destra. E ancora, indebite ingerenze del Vaticano di qua, fiumi di inchiostro social di là da parte dei nuovi aedi della sinistra da salotto italica, con in testa l’autoproclamata madrina di tutti i gay d’Italia Monica Cirinnà e a seguire i vari Tosa, Delprete, Mola, La Torre, pronti a elevare a paladino dei diritti Lgbt chiunque proclami anche solo di aver ballato una volta sulle note della Carrà (santa subito). In mezzo, l’ostinazione a rifiutare ogni compromesso, miopia a voler esser buoni, se non arroganza a esser schietti: si tira dritto quando si hanno i numeri per farlo, senza due partiti su cinque della maggioranza contro, e un’ampia frangia interna che prima del Pd brandiva lo scudo crociato e che non ha mai nascosto certi mal di pancia.
La sinistra italiana, con quel che resta dei Cinquestelle attaccati come una cozza allo scoglio, ha commesso l’ennesimo, imperdonabile errore di mancanza di senso dell’opportunità politica: ha scelto di trasformare una legge giusta, ma non esente da criticità dal punto di vista giuridico, in un vessillo ideologico da sventolare per rimarcare a ogni costo non tanto il proprio essere, quanto il non essere l’Altro, il nemico di turno, oggi Salvini come cinque lustri fa Berlusconi. Si è spostata, insomma, la battaglia dall’approvazione della legge per i suoi contenuti a quella della sua approvazione in sé e per sé, alla ricerca della vacua soddisfazione di “averla fatta” alla destra, non importa se si parla di omofobia o tutela del merluzzo tigrato del Baltico. Il tutto decantando il Ddl Zan come l’unica legge di cui l’Italia ha realmente bisogno proprio in questo momento, di fronte a migliaia di persone messe in ginocchio dalla pandemia: a voler usare un eufemismo, non esattamente un capolavoro di marketing politico.
E la destra? Ha fatto semplicemente quello che le viene più naturale: fare la destra, giocare al “non sono omofobo ma…”, con in più la beffa di passare, per una volta, per conciliante e disposta a venire incontro. Un compromesso sarebbe stato un cedimento alle forze reazionarie e alle ingerenze del Vaticano? Forse. Ma se Parigi val bene una Messa, tutelare le vittime di aggressioni e discriminazioni omofobe probabilmente valeva la rinuncia, per dirne una, a proposte come la Giornata contro l’Omofobia nelle scuole che, seppur nobile negli intenti, solo un illuso o un folle poteva pensare di far passare indenne fra un Pillon e una Meloni. E invece ora si ricomincia da capo: e andate ora a spiegare alle vittime di omofobia che è solo colpa della destra.