Molino, lavoro, TiSin: a ogni casino che scoppia in questo cantone, i responsabili rispondono parlando d’altro
“Il guaio è che a me piace, quando la gente va fuori tema”. Il giovane Holden amava chi inizia a parlare della fattoria di famiglia nel Vermont e poi, “tutt’a un tratto, si mette a parlare di quella lettera che suo zio aveva scritto a sua madre, e che suo zio aveva avuto la poliomielite e via discorrendo”. Il personaggio di Salinger sarebbe senz’altro incantato dal dibattito politico ticinese, nel quale la digressione è divenuta un’arte. Per dire: tiri giù un centro sociale pieno d’amianto nel cuore della notte, ma ti metti a parlare delle scritte sui muri dei molinari. Spari proiettili di gomma addosso ai giovani, però la questione centrale diventa il volume della musica. Hai un problema di sviluppo economico insostenibile – perché attrai aziende fiscalmente corsare e settori a scarso valore aggiunto – e discuti di Mister demografia e nuovi sgravi.
Ma il capolavoro assoluto di fuori tema, il triplo carpiato della supercazzola lo stiamo vedendo con la storia di TiSin. In questo caso, il problema centrale dovrebbe essere chiaro: c’è un finto sindacato che firma finti contratti collettivi per fregare lavoratori veri; in cima al finto sindacato siedono politici di quella Lega che pure ha approvato la nuova legge sul salario minimo, la stessa che ora si cerca di aggirare; in più i lavoratori coinvolti sono frontalieri, persone delle quali via Monte Boglia – sede anche del ‘sindacato’ – spergiura da eoni di volersi liberare.
Una figuraccia del genere è talmente grossa che per schivarla il solito diversivo non basta, ci vuole del genio. Qui la digressione deve farsi multipla, ardita, a tratti dadaista. Ecco allora che prima di tutto ci si è mobilitati per screditare la legge sul salario minimo: gente che fino a ieri indossava tutta impettita il distintivo legge-e-ordine ora ti spiega che beh, insomma, è una legge disastrosa e qualcosa bisognava pur fare. Anche se quel qualcosa è aggirarla, anche se ad aggirarla è chi le leggi le fa. Poi sono partite le operazioni simpatia a reti unificate, per far vedere il lato pacioccone di quelli beccati con le mani nella marmellata. Infine si è scelto di screditare i sindacati veri, accusati di essere troppo ricchi e perfino di fungere da “protettorato del frontalierato” (e no, non l’ha scritto il Mattino). Ci manca solo “e allora le foibe?”.
Va detto che la tecnica funziona, complice la tumida prosa di chi mette insieme piazze No Vax e manifestazioni sindacali, leghismo di risulta, finto liberalismo da padronazzi e franchismo da apericena. La palla è finita in tribuna così alla svelta che quasi nessuno guarda più la vera partita: quella in cui a giocarsi la faccia sono i populisti nostrani, i loro rappresentanti in Gran Consiglio, ma anche coloro che per tornaconto o quieto vivere gli tengono bordone. Intanto i responsabili di questo pasticcio – protetti dagli scudi di Teflon dei loro opliti – si lasciano scivolare addosso i dubbi, le critiche, il surreale casino istituzionale che loro stessi hanno creato. Senza rispondere a nessuno, perché se la prima regola del Fight Club è “non parlare mai del Fight Club”, quella del Ticino Club è “parliamo d’altro”.