LA TRAVE NELL’OCCHIO

Quelli che ‘Hitler ha fatto meno danni’

Con l’opposizione al Covid Pass e il paragone tra misure sanitarie e Shoah torna in primo piano la “distruzione del passato” di cui parlava Hobsbawm

(Keystone)
5 ottobre 2021
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Preambolo necessario. Mi sono vaccinato. Sono convinto che sia l’unico strumento per scansare il cimitero e arginare il contagio. Non dimentico le notti allucinanti di Bergamo con le luci dei lampioni, giallastre e spettrali, a illuminare gli autocarri militari carichi di morti e i magazzini colmi di bare. Mi sono vaccinato perché confido nella scienza e nella competenza degli esperti. Mi sono vaccinato perché il vaccino riduce al minimo il rischio che i miei consimili da agenti diventino pazienti, da persone che agiscono diventino persone che subiscono. Rispetto chi decide di non vaccinarsi ma non dimentica che la libertà individuale va circoscritta se lede quella degli altri: e il dovere di proteggere nulla ha a che vedere con la discriminazione. Lo dice il filosofo Axel Honneth: Das Ich im Wir! (L’Io nel Noi!). Da quel che vedo e ascolto, non tutti concordano.

Ma l’oggetto del mio corsivo non è la contesa fra i pro e i contro il vaccino o la liceità di certe misure: vi sono argomenti sulle due sponde e serve ponderare. Nemmeno le manifestazioni di piazza sono in discussione: sono strumenti, se ben regolati, del dissenso e del controllo democratico. A disturbarmi non è il fragore della protesta dei No Vax. A disturbarmi è l’ostentata ignoranza di una parte non negletta della categoria: fa pensare a una degenerazione del pensiero, a un diffuso crollo del raziocinio. Lo storico Eric Hobsbawm, nel 1994, l’aveva predetto: è in corso – diceva – una “distruzione del passato” e dei meccanismi sociali “che connettono la generazione dei contemporanei a quelle precedenti”. La devastazione in atto negli ultimi tempi è impressionante: avanza, in dimensioni non trascurabili, l’appiattimento sul presente (che per definizione esclude passato e futuro) che cancella la memoria collettiva. Trionfa l’ignoranza esaltata ed eretta a valore assoluto. La pandemia ha accelerato il disorientamento e il declino delle coscienze.

A questo punto sento incombere il pesante insulto del No Vax incallito. E allora, a scansar l’equivoco, ecco cosa intendo dire: il dissenso in democrazia è vitale, e per fortuna che c’è, ma diventa ripugnante improntitudine, aberrante ignoranza, quando fonde e agguaglia la presunta riduzione dei No Vax a “reclusi e carcerati della politica federale” con la tragedia immane della Shoah e con le vittime del nazismo. Io ho ascoltato, come voi, degli invasati concionare con enfasi incontrollata sulla libertà violata e violentata e sono rimasto allibito.

Riassumo alcune perle: 1) ai tempi di Hitler la libertà era migliore (sic) e (in alternativa) Hitler ha fatto meno danni del greenpass; 2) è in atto un grave crimine contro l’umanità perché Berna nega l’inviolabilità della libertà individuale che è assoluta; 3) la stella gialla cucita sulla manica indica che oggi gli ebrei siamo noi, discriminati e privati del diritto all’autodeterminazione; 4) la Shoah non è il peggio che ci è capitato (noterella del corsivista: i dati confermano l’asserzione. Coloro che reputano che il genocidio non sia mai avvenuto sono in rapido aumento: in Italia erano il 2,7% nel 2004 e nel 2020 sono vicini al 20%).

Come spiegare simili spropositi che ci adombrano un futuro peggiore di quello di ieri? Per il costituzionalista Sabino Cassese questi comportamenti denotano il rifiuto della scienza e della razionalità, mostrano una vera e propria ostilità per la conoscenza, riflettono un arrogante atteggiamento anti-intellettualistico. Più semplicemente: la distruzione del passato, l’annientamento dello spirito critico e della coscienza storica sono il prodotto di un’epoca in cui si diffonde il culto dell’ignoranza come virtù, come simbolo genuino di spontaneità, tanto caro a certo populismo che impregna la politica (ricordate il motto di Trump? “Amo i poco istruiti”. L’originale suona più solenne, come un programma scolastico: “I love the poorly educated”).

Ma allora, come è possibile costruire il futuro sull’ignoranza, sulla distruzione del ruolo della storia e sullo smarrimento della memoria? Questo mi chiedo quando assisto a certi spettacoli che sdoganano l’indecenza. L’amico saggio mi suggerisce che è aperta la via del dialogo e della concertazione sociale. Non funziona. In certi ambienti l’ignoranza è assertiva, fa da scudo, e la competenza è reietta: il colloquio è bandito e rifiutare il dialogo e l’opinione della scienza significa affermare la propria autonomia ed esaltare il proprio ego. Lo dimostra il noto effetto Dunning-Kruger, abbondantemente verificato: più si è ignoranti, più si è convinti di non esserlo, e si ritiene vero solo ciò in cui si crede. E allora come ridare alla nostra epoca spirito critico e consapevolezza storica? Come sconfiggere il “presentismo” che ignora il passato e divora il futuro?

La semiologa Valentina Pisanty osserva che non basta pretendere “più storia” per puntellare la memoria collettiva, non basta ricordare e commemorare. Fa notare che l’ignoranza (con quello che trascina con sé: razzismo, intolleranza, indifferenza) è cresciuta a dismisura proprio nei Paesi in cui le politiche della memoria si sono moltiplicate. La ritualizzazione commemorativa non serve: non serve ricordare se non vi è riflessione, ragionamento, una vera consapevolezza storica. Agli scettici consiglio una buona lettura: Tom Nichols, La conoscenza e i suoi nemici, Milano, 2018. Sicuramente è più utile quel libro di questo corsivo.