Il presidente Udc fomenta la lotta tra città e campagna, ma anche il liberale cede alla retorica del fronte interno. Alla faccia del “tutti per uno”
“Parassiti”. Il presidente dell’Udc Marco Chiesa – camiciola ‘Edelweiss’ d’ordinanza, indice puntato verso la telecamera – ripete questa parola ben quattro volte durante il consueto pistolotto per il “Natale della Patria”. Parassiti sono ovviamente “i clandestini e i criminali” che la “gauche caviar” e gli “estremisti verdi” delle città “coccolano”, mettendo in pericolo la nostra sovranità; parassiti sono i “nuovi gruppi di assistiti che secondo loro devono avere il diritto al sostegno statale e quindi ai nostri soldi”, da non confondere con “i nostri svizzeri che hanno lavorato una vita per il nostro Paese”. Parassita è insomma la stessa sinistra cittadina, e allora guerra sia: “I soldi devono essere tolti alle città che perseguono politiche dannose per il nostro Paese”. Nel giorno in cui altri celebrano l’unione confederata, Chiesa e altri tenori dell’Udc scelgono la divisione, campagna contro città, buoni contro cattivi. Rispetto agli anni passati c’è questa piccola variazione sul tema: l’attacco non è diretto agli infidi stranieri e alla tracotante Europa, ma agli efebici progressisti delle realtà urbane svizzere. Dopo il nemico ‘fuori’, il nemico ‘dentro’.
Non stupisce, c’è sempre un’elezione dietro l’angolo e con essa il bisogno di inventarsi uno spaventapasseri da prendere a vigorosi cazzotti. L’Udc non è mai riuscita a sfondare nelle città e non può più prendersela genericamente con le élite delle quali è divenuta azionista di maggioranza: ecco allora che la sinistra urbana diventa un utile “rimpiazzo”, per usare un’espressione del politologo Michael Hermann. Aiuta anche il fatto che socialisti ed ecologisti parlino effettivamente a un elettorato sempre più borghese e cittadino, come discutiamo oggi qui. Ottimo bersaglio, dunque, per un partito che da anni trionfa nel gioco di prestigio di difendere gli interessi del padrone col gergo del bracciante, in una surreale mezzadria ideologica (trucco molto simile, peraltro, a quello applicato da Donald Trump e dai Brexiteer contro i ‘fighetti’ di New York e Londra, anche se poi è andata com’è andata).
Più preoccupante è il fatto che alla retorica del nemico nascosto tra noi si pieghi qualche liberale, come mostra l’intervento primagostano del presidente cantonale Plr Alessandro Speziali (su laRegione di sabato scorso). Certo, Speziali è molto meno sguaiato, ma le somiglianze di famiglia col discorso dell’ultradestra saltano all’occhio: “Mi pare che la sostanza profonda del Paese”, scrive, “sia minacciata più dall’interno che da fuori”. In questo caso la quinta colonna sarebbe chissà quale sbilenca coalizione di “Joker nel Batman di Nolan – gente che vuole solo vedere la nostra casa comune bruciare”. Tra questi loschi figuri da film, animati da presunto “spirito vandalico”: il giudice del Canton Vaud che in primo grado aveva assolto una dozzina di ambientalisti dopo una partita di tennis nell’atrio di una banca; chi usa il termine “negazionista” verso i bufalari del clima e dei vaccini; quelli che ritengono “retrogrado” chi critica “la dilagante teoria della costruzione di genere”; chi giudica “indecenti” gli sgravi fiscali ai ricchi in piena crisi pandemica, eccetera. Se Speziali ha ragione nel condannare i toni estremi di certi indignati da social network – e anche l’odioso abuso del termine “negazionista” – appare quantomeno puerile cucirli tutti insieme nel pupazzone di un unico e minaccioso nemico, quello che “ci chiede di inginocchiarci in penitenza di fronte ai suoi vitelli d’oro ideologici”. D’altronde non risulta che i liberali siano mai stati zittiti su questi temi. Ragione in più per non tirare in ballo anche il feticcio nixoniano della maggioranza silenziosa, quella che Speziali teme si ritiri “dal confronto per noia o paura di ritorsioni”, lasciando campo libero alle “minoranze ostinate”. Una retorica che mi sarei aspettato da un conservatore più che da un liberale, specie dopo il suo bel discorso all’ultimo comitato cantonale sui temi della libertà e del confronto pragmatico. (Tra l’altro, viene da chiedersi cosa ne pensino i pochi radicali rimasti.)
Fronte interno, pugnalata alle spalle, ‘tradimento’ della borghesia cittadina, minoranza silenziosa: tutti concetti che la destra reazionaria impugna da oltre un secolo in mezz’Europa, proprio quel continente dal quale oggi la politica elvetica rimarca così spesso una sussiegosa distanza. Una retorica agglutinante rivolta a quei ‘noi’ da contrapporre sempre a ‘loro’, a costo di delegittimare il fioretto politico e la dialettica sociale. Una trappola nella quale ormai mettono il piede fin troppo spesso anche i partiti centristi, con buona pace dell’“uno per tutti, tutti per uno” che si compiacciono di celebrare a ogni patriottica costinata. Povero Dumas.