Certo che il governo del calcio mondiale ed europeo di certe ‘rogne’ farebbe volentieri a meno. Quando può le impedisce, altrimenti mal sopporta
Di sicuro, il governo del calcio mondiale ed europeo di certe ‘rogne’ – tipo la bandiera multicolore contro la discriminazione delle minoranze sessuali, o l’inginocchiarsi dei calciatori per condannare il razzismo – farebbe volentieri a meno: quando può le impedisce, altrimenti mal sopporta. “È politica”, sostengono, dunque nulla che abbia a che fare con lo sport. Ipocrisia di proporzioni monumentali, questa sì una statua, inno alla doppiezza, da abbattere sull’onda della controversa ‘cancel culture’. Fifa e Uefa – mega salvadanai di enormi interessi economici – estranee alla politica? Ma da quando? Da parte loro non ci sono scelte (al di fuori delle ondivaghe decisioni strettamente tecniche, o forse nemmeno quelle) che non siano politiche o geo-politiche. Già per come è organizzato l’attuale torneo del campionato europeo. Ma, in prospettiva, ancor più per la decisione di affidare i mondiali al Qatar: sabbie e grattacieli, regno del più bieco sfruttamento dei lavoratori poveri immigrati d’altri paesi d’Asia, alloggiati in condizioni indegne, praticamente prigionieri (addirittura ritirano loro il passaporto), costretti a turni massacranti: ne sono morti 6’500 – inchiesta del ‘Guardian’, mai seriamente smentita – una tragedia bellamente ignorata dai boss internazionali della pelota; e non è forse anche questa scelta politica, e delle peggiori? E da “lassù” quanto si è intervenuti con decisione – complici le società – contro gli ululati razzisti che dalle curve continuiamo a sentire la domenica, i saluti e i simboli nazisti esibiti, le foto di Anna Frank usate addirittura per insultare “l’ebrea tifoseria” rivale?
Però se dei calciatori decidono di inginocchiarsi per pochi secondi prima di una partita, se imitano gli atleti statunitensi che si ribellano alla discriminazione razziale e alla violenza che essa genera, se lo fanno per propria volontà e senza essere obbligati (come pretenderebbe qualche voce di sinistra fuori luogo), se insistono nonostante la sonora contestazione di una parte delle tifoserie, se si genuflettono anche quando sugli spalti c’è chi si gira per dare polemicamente la schiena al campo (come durante alcuni inni nazionali ‘del nemico’), ecco che allora scatta il fastidio degli ‘alti dirigenti’, che chiedono alle federazioni nazionali di intervenire per fermare l’increscioso gesto: e quella italiana, di Federazione, dopo aver visto sei calciatori in piedi e cinque inginocchiati, fa scattare il principio della maggioranza democratica, e decide per ‘l’hombre vertical’.
Implacabilmente ci si mettono poi i soloni che sparano sul ‘facile e docile conformismo’ dei genuflessi, dei ‘presunti buoni’. Molti di quei soloni considerano i calciatori “bravi di piede ma brevi di cervello”. Allora come credere che siano sinceri e non manipolati? E che fastidio quell’attaccante che al polso porta una fascetta coi colori Lgbt per denunciare sessualità negate, e se la bacia pure quella fascetta dopo aver realizzato un gol decisivo addirittura contro l’orgogliosa Ungheria dell’omofobo Orban. Mentre, per una volta felicemente, sui social qualcuno ricorda: “I nazisti portavano al braccio fasce ben più inquietanti”.