Indagini sull’utilizzo spinto della formula per scambiare calciatori da parte della Juventus e altri club di A: nel mirino gli affari con Lugano e Basilea
Il calcio italiano è nell’occhio del ciclone a seguito dell’indagine della procura di Torino e della Guardia di Finanza denominata “Operazione Prisma” che fa seguito agli accertamenti di Consob (l’autorità amministrativa italiana che ha il compito di vigilare sulle operazioni delle società quotate in borsa) e Covisoc (la Commissione di vigilanza sulle società di calcio professionistiche) su possibili plusvalenze gonfiate.
A Torino gli inquirenti stanno provando a far luce in particolare su 42 scambi di giocatori che hanno avuto come protagonista la Juventus, quattro dei quali con società svizzere (Lugano e Basilea). L’ipotesi di reato sulla quale si sta indagando è che il club abbia falsificato il proprio bilancio ricorrendo alle plusvalenze, un’accusa che è stata mossa dalla giustizia ordinaria ad altre società in passato senza però mai portare a sentenze di condanna.
Chi? Io? (Keystone)
Prima di addentrarci nel caso in esame è doveroso spiegare cosa si intende per “plusvalenza”. Quando una società acquista un calciatore in cambio di un corrispettivo economico, questa cifra non impatta esclusivamente sul bilancio dell’anno in corso ma viene spalmata in parti uguali sugli anni di contratto stipulati con il giocatore (il cosiddetto “ammortamento”).
Per esempio, se viene acquistato un calciatore pagandolo 10 milioni e facendogli firmare un contratto di cinque anni, a bilancio verrà inserito per cinque anni l’ammortamento annuale pari a 2 milioni. Ogni anno, sul bilancio, il costo residuo del giocatore scenderà conseguentemente di 2 milioni fino ad arrivare a zero alla scadenza del contratto. L’ammortamento residuo alla fine del terzo anno, con 6 milioni già “ammortizzati”, è quindi di 4 milioni: supponiamo che a questo punto il calciatore venga ceduto. La differenza tra il prezzo di cessione e l’ammortamento residuo determina quella che viene definita “plusvalenza”, tanto più virtuosa per il club quanto è maggiore il prezzo di vendita. Questo perché in questo caso il valore del calciatore è aumentato negli anni rispetto al suo prezzo d’acquisto (e agli anni in cui è stato utilizzato) e il club può inserire fra i ricavi di bilancio questo aumento di valore. Un meccanismo assolutamente lecito e anzi auspicabile per ogni società capace di acquistare giocatori bravi a basso prezzo prima che mettano in mostra tutte le loro qualità e di rivenderli quando sono cercati dai club più ricchi.
Christopher Lungoyi in un Basilea-Lugano del maggio scorso (Keystone)
Sotto accusa non è quindi il concetto di “plusvalenza” in sé, ma l’utilizzo “creativo” che ne viene fatto da molte società, in particolare tramite l’utilizzo dei cosiddetti scambi “a specchio”: operazioni fra due club in cui vengono scambiati dei giocatori senza circolazione di denaro ma valutando entrambi la stessa cifra, gonfiata da ambo le parti per iscrivere a bilancio una plusvalenza maggiore.
Un esempio: due club possono scambiarsi giocatori che in una normale operazione di mercato sarebbero ceduti a 1 milione di euro valutandoli entrambi 10 milioni, il flusso di denaro che passa da una società all’altra sarà comunque zero ma la plusvalenza sul bilancio dell’anno in corso sarà di 9 milioni superiore, con evidenti benefici nell’aumentare l’utile o ridurre il passivo nell’esercizio. Va precisato però che questa operazione ha anche un importante rovescio della medaglia, che è quello di aumentare notevolmente il valore dell’ammortamento annuale del giocatore acquistato nei successivi anni di contratto con il risultato di appesantire così i bilanci successivi dopo aver “abbellito” quello in corso.
Sono manovre che generalmente vengono fatte se si suppone di dover “aggiustare” bilanci in perdita ma si prevede un miglioramento dei ricavi futuri che possa compensare l’aumento del monte ammortamenti degli anni successivi oppure, nelle situazioni più “disperate”, quando le società hanno bisogno di inserire a bilancio ricavi immediati utili a iscriversi alle competizioni alle quali partecipano.
Séne è in prestito al Grasshopper dal Basilea (Keystone)
Seppur moralmente discutibile, il ricorso a plusvalenze più o meno “gonfiate” non ha finora portato a condanne da parte della giustizia ordinaria e molto raramente anche da parte della giustizia sportiva. Emblematici sono il processo penale relativo agli scambi di giovani calciatori fra Milan e Inter nei primi anni 2000 e quello sportivo sulle operazioni fra Chievo e Cesena nel 2018. Il primo si è concluso con un’assoluzione completa dei dirigenti delle società meneghine con la formula “il fatto non costituisce reato”, in quanto secondo gli inquirenti le capacità patrimoniali dei due club erano tali da non rendere necessaria la falsificazione dei bilanci tramite l’utilizzo delle plusvalenze perché in ogni caso le dirigenze sarebbero state in grado di coprire le perdite con aumenti di capitale senza mettere a rischio la continuità aziendale.
Nel secondo, la Sezione disciplinare del Tribunale federale della Federazione italiana Giuoco Calcio ha sentenziato che le operazioni di compravendita dei calciatori vanno inserite in un contesto di libero mercato che “non può essere ancorato a fattori valutativi normativamente preventivati sul valore dei singoli calciatori”. Viene quindi ritenuto lecito acquistare un calciatore a una cifra nettamente superiore al suo valore del momento, in quanto un club può vedere in lui delle doti che faranno aumentare il suo prezzo in futuro (si pensi ad esempio ad Alessandro Bastoni, difensore dell’Inter e della nazionale italiana, passato dall’Atalanta ai nerazzurri quando aveva 18 anni per 31,1 milioni nell’ambito di un’operazione che aveva fatto storcere il naso a molti, che nel giro di pochi anni ha dimostrato di valere anche di più della cifra spesa dall’Inter per acquistarlo).
Il Tribunale federale, sempre appellandosi all’impossibilità di definire i valori reali dei calciatori, ha rigettato anche le accuse della procura al Chievo di aver posto in atto continui scambi di giocatori “ipervalutati” con il Cesena al fine di aggiustare i bilanci per ottenere l’iscrizione ai campionati successivi, limitandosi a infliggere una leggera penalizzazione ai veneti (3 punti) per non aver inserito a posteriori nei bilanci le svalutazioni dei calciatori “erroneamente valutati” che nel giro di poco tempo non solo non avevano progredito nella loro carriera ma avevano addirittura smesso di giocare. Un caso simile a quello che sta vedendo coinvolta la Juventus in questi giorni è accaduto anche nel 2018 con protagoniste ancora una volta Inter e Milan, questa volta insieme al Genoa: la procura di Milano aveva avviato un’inchiesta relativa alle plusvalenze “gonfiate” negli scambi fra le milanesi e il club ligure inserendo nella lista degli indagati i dirigenti delle squadre ma di quella inchiesta, dopo poche settimane di tam tam mediatico, non si è saputo più nulla…
Albian Hajdari, al centro, con la maglia del Basilea (Keystone)
In questo scenario è attualmente improbabile immaginare eventuali conseguenze per la Juventus al termine dell’inchiesta in corso, sia a livello penale che a livello sportivo. L’incognita è rappresentata da eventuali intercettazioni telefoniche che possano rendere più evidenti eventuali prove di colpevolezza rispetto alle semplici supposizioni legate ai valori dati ai singoli giocatori e al filone legato alla supposta “carta privata” relativa al contratto di Cristiano Ronaldo, che nulla ha a che fare con il discorso plusvalenze ma che sembra aver attirato negli ultimi giorni l’attenzione degli inquirenti.
In ogni caso dal punto di vista sportivo i bianconeri non dovrebbero correre particolari rischi viste le precedenti sentenze sul tema; il vero problema per la Juventus potrebbe arrivare dal punto di vista finanziario se le indagini incideranno sull’esito dell’aumento di capitale in corso limitando le risorse a disposizione per le prossime stagioni. Uno scenario che la Juventus non può escludere, tanto da averne fatto cenno proprio ieri in un comunicato ufficiale.
Fra le 42 operazioni sotto indagine ne spiccano 4 concluse con società svizzere: nel gennaio del 2021 Lungoyi dal Lugano alla Juventus per 2,5 milioni (restituito immediatamente in prestito sempre al Lugano per 18 mesi) e Monzialo dalla Juventus al Lugano per la stessa cifra; nella sessione estiva 2020 Sène dalla Juventus al Basilea per 4 milioni e Hajdari dal Basilea alla Juventus per 4,4 milioni. Di questi, comunque tutti “ipervalutati” rispetto al loro valore attuale, Sène sta facendo una buona stagione in prestito al Grasshopper, Lungoyi ha collezionato 9 presenze in Super League di cui tre da titolare quest’anno ed è nel giro della Under-21 svizzera, mentre gli altri due non sembrano destinati a carriere scintillanti.
In particolare fanno notizia le cifre dello scambio con il Lugano, che rappresentano sia in entrata che in uscita dei record per le operazioni di mercato del club ticinese e che non sono nemmeno una novità in quanto uno scambio “a specchio” fra i due club era già accaduto nel 2019, seppur con tempistiche differite che non hanno attirato l’attenzione di Covisoc e inquirenti: a gennaio 2019 il giovane Macek è stato ceduto dalla Juventus al Lugano per 1,8 milioni (al tempo spesa più importante della storia del club davanti all’acquisto di Turkyilmaz dal Brescia nel 2000/01 per 1,03 milioni…), la stessa ricevuta dal Lugano per la cessione ai bianconeri del diciottenne Vlasenko sei mesi dopo. Che fra le due società ci sia un legame di “amicizia” che abbia portato per interessi comuni a questo tipo di operazioni è difficilmente contestabile ma, come nei casi citati in precedenza, difficilmente questi scambi (seppur a cifre anomale per un club non ricchissimo come il Lugano) potranno portare a conseguenze negative dal punto di vista sportivo e penale per il club.
Kevin Monzialo con la maglia del Lugano (Keystone)