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Lugano, spartizione di un insuccesso

L'amaro epilogo di una squadra passata dal secondo posto in classifica alla prematura uscita di scena nei playoff. Senza più fiato forse, ma con tanti rimpianti

Tutta la delusione di Luca Fazzini. Che, però, è stato di gran lunga il migliore dei suoi, in questa cortissima avventura playoff (Ti-Press/Crinari)
23 aprile 2021
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Potremmo anche evitare, per una volta, di scomodare dalla leggenda il temerario Davide e il gigantesco Golia. Però non possiamo proprio esimerci dal dare al Rapperswil ciò che è del Rapperswil. Squadra capace di fregarsene di quello che i numeri dicono o la gente pensa di lei, e che butta fuori uno dopo l’altro Bienne e Lugano in una post season in cui gioca sette partite e ne vince sei, volando in semifinale nonostante partisse dal terzultimo posto in classifica. Non è tanto un segno inequivocabile che in Svizzera si è ormai al punto in cui tutti possono battere tutti, ciò che anche il più caparbio tra i tifosi dovrebbe aver capito, e non solo perché giocatori e allenatori lo ripetono alla noia da anni. Piuttosto, è la dimostrazione che quando si alza il sipario sui playoff la differenza la fanno più i muscoli delle mani, per non parlare poi dell’abnegazione e della testa. Armi, queste ultime, a cui si sono affidati Jeff Tomlinson e i suoi uomini per stendere dei giganti come Bienne e Lugano, al cui cospetto non riuscirebbero mai a competere mettendola sul piano dell’abilità tecnica.

Poi, è chiaro, quando un gigante stramazza al suolo il frastuono è assordante. Quindi è normale che un po’ tutta la Svizzera si chieda improvvisamente come mai un Lugano si sia arreso in sole cinque partite a una squadra su cui nessuno, ma proprio nessuno, avrebbe scommesso un centesimo. La risposta può essere che anche nella primavera 2018 nessuno avrebbe mai osato puntare sul Lugano di Greg Ireland dopo che alla penultima di regular season, a Davos, i bianconeri persero in una stessa sera sia Brunner, sia Bürgler, sia capitan Alessandro Chiesa. Invece tutti sanno che poi, contro ogni previsione, visto il contesto, quella stessa squadra arrivò a un solo gol dal titolo. Quella determinazione, quell’euforia, quell’abnegazione, appunto, stavolta invece non c’erano. O meglio, ci sono state quando - fra molte virgolette - servivano meno. In un mese di marzo segnato da due sole sconfitte in dodici partite, con tanto di chiusura al secondo posto in classifica nonostante lo scivolone all’ultima giornata, sul ghiaccio delle Vernets. Ecco, curiosamente, anziché progredire quel Lugano s’è fermato. Sulla soglia di un quarto di finale in cui ha dato l’impressione di essere fisicamente meno lucido di un Rapperswil che, tra l’altro, a fine regular season non aveva avuto un solo istante per tirare il fiato, al contrario dei bianconeri trovatisi di fronte una settimana di pausa che, apparentemente, non hanno saputo gestire. O forse, chissà, sono stati davvero semplicemente spremuti troppo in precedenza, nella lotta per la conquista di un secondo posto più simbolico che strategico, visto quanto è successo dopo. Del resto, quando un motore gira per troppo tempo a regimi altissimi va a finire che lo si rovina, e non si può certo darne colpa né al meccanico, né ai progettisti.

Infatti è così che è capitato, con un Lugano andato fuori giri proprio sul più bello, dopo un inverno di soddisfazioni con uno slalom tra due quarantene e la brusca, ma non certo impreventivabile, partenza di Carr e Kurashev, tornati oltre oceano. Un brusco risveglio per un gruppo che, di colpo, non è più riuscito a esprimere tutto il suo potenziale, tranne qualche eccezione (Fazzini e Loeffel su tutti), penalizzato pure dal rendimento dei suoi stranieri: da Heed e i suoi zero punti in 5 partite (e pure un bilancio di -7!), a un Boedker tornato offensivamente improduttivo come in autunno, fino a un Arcobello mai davvero risolutivo. Cose di cui si dovrà fare tesoro pensando alla pianificazione delle future stagioni. O per essere maggiormente precisi, ai futuri playoff.

Insomma, Domenichelli e il suo staff avranno il loro bel daffare su una strada comunque già tracciata, che porta alla costruzione del Lugano che verrà. Con meno contratti in essere, anche perché l’obiettivo dichiarato è un ricambio deciso, con una futura difesa che per ora conta quattro titolari (più Alatalo e Guerra, in attesa di conferme ufficiali) e un attacco dove i posti più o meno assegnati sono 7 o 8. Esaurite le analisi di prammatica, sarà di nuovo tempo di mercato, pur forse ancora influenzato dal contesto, quindi dalla pandemia. Un mercato che, tuttavia, è antitesi delle scienze esatte, parlando pur sempre di uomini e non di macchine, e dove – come s’è visto – capita pure di concludere affari in apparenza proficui, ma che invece, alla resa dei conti, tanto proficui non sono. Succede a chiunque, non solo al ’diesse’ di prima.