I Comuni contro il Cantone; il Cantone contro Berna: ma le conseguenze delle politiche scellerate le subiscono quelli al pianterreno
Prendiamo il caso di Minusio. Il Municipio dell’ex feudo del presidente dell’Associazione dei comuni ticinesi (Act) Felice Dafond, al momento di commentare il Consuntivo 2023 avvertiva: “Qualora il popolo dovesse approvare la riforma fiscale il Comune dovrà mettere in conto a breve termine minori entrate, le quali difficilmente potranno essere compensate se non attraverso un aumento del moltiplicatore”. Eravamo a fine maggio, poco prima del voto sulla riforma della Legge tributaria poi approvata dal popolo. Lo stesso giorno in cui quel monito era stato evidenziato su queste colonne, è giunta in redazione una nota – quasi una replica – firmata dal sindaco Mondada e dal vicesindaco Mazzoleni nella quale affermavano come la riforma fosse “di particolare interesse poiché permetterà al Cantone di migliorare la propria concorrenzialità fiscale... Già con pochi nuovi contribuenti, l’impatto finanziario della riforma può ridursi o addirittura neutralizzarsi”. Fatto sta che al momento di presentare il Preventivo 2025, il Municipio ha confermato che il mantenimento al 78% del moltiplicatore d’imposta a Minusio non è più sostenibile e andrebbe alzato di 4 punti.
Nel frattempo l’Act rimprovera al Consiglio di Stato il fatto che la riforma fiscale approvata il 9 giugno non abbia comportato per il Cantone una perdita di gettito, “mentre i Comuni si troveranno con un saldo negativo di oltre 30 milioni di franchi solo nel primo anno”. Ma i Comuni, soprattutto i grandi centri, dove erano alla vigilia del voto? Domanda pseudo retorica: Lugano in prima linea a sostenere gli sgravi, per poi ritrovarsi a difendere a spada tratta la moratoria proposta dal governo per l’introduzione del moltiplicatore differenziato (moratoria approvata ieri dal Gran Consiglio). Chiasso, Mendrisio e Locarno: tre sindaci – liberali – silenti. Zitti per ordine di scuderia? Assai probabile. Una direttiva è comunque una direttiva: lo sanno bene anche ai piani alti del Plr, che devono pur rendere conto a qualcuno.
Se poi si sale di un livello (istituzionale) la musica non cambia. Appena comunicati i risultati positivi della Banca nazionale nei primi nove mesi dell’anno, il direttore del Dfe Christian Vitta si è affrettato a spiegare che “non saranno gli utili della Bns a risolvere il disavanzo strutturale del Cantone”, sottintendendo una sorta di contrapposizione tra i dividendi “aleatori” e i deficit “costanti”. Vitta invece sa, e l’ha ribadito a più riprese, quanto il versamento degli utili da parte della Bns sia la regola e non l’eccezione. Chiaro che con un Preventivo ’25 vicino alla soglia massima di disavanzo consentita dalla legge gli torna più comodo mettere l’accento sulla presunta non affidabilità di tale entrata. Entrata che nel 2021 e nel 2022 ha superato i 160 milioni di franchi…
Il vero cruccio delle finanze cantonali, secondo Vitta, sarebbe invece un altro. Nello sfogo affidato a laRegione qualche giorno fa, il presidente del governo è tornato a puntare il dito contro la mancata disponibilità del Consiglio federale a rivedere i parametri della perequazione intercantonale. Sta di fatto che ogni volta che il Cantone va a reclamare per quello che “riteniamo ci spetti” la risposta bernese, dati alla mano, sembra essere la stessa: il potenziale fiscale del Ticino è alto, la ricchezza c’è. Nessuno vi obbliga a basare il vostro modello economico sugli sgravi ai facoltosi e lo sfruttamento della manodopera frontaliera. Se volete andare avanti di questo passo, ecco le conseguenze. Per Cantone e Comuni. Ma soprattutto – aggiungiamo noi – per quelli al pianterreno: i normali cittadini.